Viaggio e Libri, il Viandante e lo Shugyō

Bun-Bu Ryō Dō [文武両道]

Acquisizioni e malintesi “con e dei” maestri giapponesi

 


Bun-Bu Ryō Dō è un detto, una raccomandazione, che afferma come la Cultura (Bun) e la pratica (Bu) delle Arti Marziali (Bugei) siano due aspetti indivisibili nel viaggio sulla Via.

Il viaggio in Giappone, il secondo, dello scorso Aprile, mi ha visto impegnato insieme ad altri del mio Dōjō di Palermo, nella pratica del Bujutsu-Budō sul campo, presso il Sugino Dōjō di Kawasaki. Ma, per vari motivi, nel totale la pratica sul tatami ne è stata solo una piccola parte, ma importante, perché mi ha permesso di imparare nuovi dettagli e perfezionare la mia tecnica (intesa nel senso giapponese dell’ideogramma Waza, che ha significato più ampio del movimento meccanico, comprende, per esempio, l’esecuzione alla luce dei principi della scuola d’appartenenza).

Invece la caratteristica del “corpo del viaggio” è stata la ricerca di acquisizione e comprensione (Bun) dell’anima culturale che accompagna il Bugei, ovvero l’insieme degli aspetti del “Marziale”.

Un punto indispensabile perché la pratica sia proficua, abbia il giusto indirizzo e le corrette prospettive.

Soprattutto quando ci riferiamo alle Arti Marziali Koryū dovremmo usare il termine “Bugei” e poi, in seconda battuta, Bujutsu e Budō. Ma questo è vero anche per il Gendai Budō, nonostante l’etichetta.

 


Bun-Bu

La coppia formata da cultura e azione è una realtà che mi è sempre stata chiara sin dal mio lontano inizio della pratica delle Arti Marziali, a metà degli anni ’60. Allora le attività che si potevano praticare in Sicilia si limitavano al solo Jūdō e al Karate (quest’ultimo in seguito, dagli anni ‘70) fatte in modo pionieristico, molto spirito ma tecnica elementare. Le fonti, le notizie, erano rarissime, praticamente nulle, quasi sempre falsate da errori o cattiva narrazione, pressapochismo; tutte mancanze che c’è voluto molto tempo per superare (almeno io ci ho provato e, in buona parte, ci sono riuscito; ma ahimè, siamo in pochi a farlo). Ora, oggi, a tanti decenni di distanza, posso affermare che ci sono molte più letture autorevoli ed esperienze adeguate in più. È possibile avere accesso a una quantità di documenti e notizie più curate e complete, a insegnamenti diretti e originali. Effettivamente ora mi sento di avere degli elementi per poter riportare fatti ed esprimere ipotesi e deduzioni in modo documentato e fondato.

Si dice che certe cose succedono quando gli Dei decidono che è il momento. Proprio nel periodo di preparazione a questo viaggio ho preso ed iniziato a studiare un’ottima pubblicazione, un Trattato di una Koryū corredato di interessanti studi (“Unravelling the Cords – Taisha Ryū Kaichū”). Come “libro di viaggio” da leggere nelle trasferte e nelle pause, anche per caso, ho preso prima di partire un magnifico libro sul Sapere e Cultura occidentale tradizionale che esplora il tempo e i vortici del Mulino di Amleto (de Santillana – von Dechend, Il Mulino di Amleto). Mi ha ben accompagnato. Quanto vedevo e sentivo sul campo, quello che leggevo sono stati un ottimo binomio.

 

C’è un quadro più grande…

Il tema della cultura.

Nonostante quanto ho affermato poco sopra sulle fonti disponibili, c’è un “ma”…

Tra le cose non reperibili in Occidente c’è la religione ancestrale dell’arcipelago giapponese, lo Shintō. Le fonti in inglese, francese o italiano sono poche, incomplete, con tagli folkloristici e dottrinalmente antropologici. In generale, Nei testi di storia ed antropologia disponibili viene data più importanza al Buddhismo, però raramente si evidenzia quanto sia diverso quello giapponese da quello continentale. Come ho già scritto nei precedenti resoconti sul mio viaggio, sin dai tavoli di pianificazione a casa ho avuto come obiettivo la ricerca dello Shintō.

Quasi nessuno, tra i praticanti di Arti Marziali giapponesi in Occidente, si rende veramente conto quanto lo shintōismo sia radicato nel Giappone, negli abitanti, nelle loro azioni, in tutto il territorio e l’ambiente, come siano continuamente in simbiosi.

Si straparla di Zen nelle Arti Marziali giapponesi, ma questo è dovuto soprattutto alla propaganda dei primi monaci buddisti arrivati in Europa, guarda caso di sette Zen. Invece l’anima dello Shintō è molto presente, preponderante, nelle scuole antiche ed è impossibile non rilevarla nei Gendai Budō moderni.

Preciso: sin dai tempi dello Shōgun Ashikaga Yoshimasa (ottavo Shōgun Ashikaga - XV secolo – promosse l’importante cultura Higashiyama) lo Zen è stato influente più nel campo della filosofia estetica, dei comportamenti e delle tecniche mentali, che come vero e proprio “taglio religioso” con molti seguaci. Il Buddhismo, in generale, ha accompagnato la vita, la politica, le personalità, ma il perno, la radice più sentita, è stato sempre lo Shintō nel rapporto con il divino mentre il Confucianesimo ha predominato nel Contratto Sociale.

Per tacere del Taoismo, trasversale a tutto, una base diffusa, presente in parte nella forma proveniente dalla Cina, in parte tradizione autoctona ancestrale.

 


Di conseguenza

Il viaggio, che arrivava dopo questi dieci diversi anni di pratica sul tatami, di studio di fonti storiche, lettura di classici letterari e documenti, dovevo verificare alcune teorie che avevo già maturato, ho trovato sul campo conferme e nuovi indirizzi.                         

Da notare che, ovviamente, ci sono stati dei problemi di percorso e, nella dinamica degli opposti, dei (magnifici) aiuti al “viandante”.

Per il settore “problemi”, all’interno degli strascichi dell’epidemia Covid, rispetto dieci anni fa i giapponesi in generale mi sono sembrati meno disponibili verso gli stranieri (sempre cortesissimi, si, ma con un sapore di “distinguo” nell’aria, soprattutto da parte di alcuni). Un po’ come aleggiasse una non formulata accusa di aver portato il contagio e il disagio nel “Paese degli Dei”. E da parte di chi esprimeva quel distinguo ho sentito una specie di tema di fondo: questo è il nostro paese e queste sono le nostre cose, se volete starci e/o volete fare, dovete stare al vostro posto e, semmai, fare e stare esattamente come noi. Che è anche giusto e sono d’accordo, altrimenti non farei gli studi che faccio.

Però nel campo delle Arti Marziali i Kami che sono intervenuti a realizzare l’illuminazione del fondatore, i Maestri successori, tutti hanno sempre proposto l’idea di diffondere l’Arte Marziale per migliorare il Mondo attraverso i contenuti e i principi universali che contiene [e qui c’è un approfondimento importante che tra poco esporrò], così è necessario che l’interlocutore che possiede la conoscenza non si arrocchi in cima alla proverbiale rupe, magari tirando sassi sui volenterosi scalatori. Il compito dell’insegnante è mostrare passo passo la strada e, a sua volta, capire la strada da cui l’allievo è venuto per richiedere il suo insegnamento.

Ringrazio doppiamente chi, invece, è venuto incontro, ha preso iniziative ben oltre di quanto mi aspettassi. Parlo di Wada sensei del Katayama Ryū (vedere articolo del 21 Maggio). Il suo comportamento è stato estremamente gradito, ha spiegato il perché di molte cose e/o ha fatto vedere (e provare) gli aspetti meno evidenti, meno turistici. Gli sono profondamente grato. Oltre a lui ringrazio chi al Dōjō di Kawasaki e nel resto del viaggio non si è chiuso nella sua giapponesità.

 

Vediamo di approfondire…

Ribadiamo che le discipline Arti Marziali giapponesi sono ovviamente intrecciate con gli aspetti culturali generali e quelli locali (luogo e tempo di nascita di una scuola, i tempi e i luoghi del suo sviluppo).

È importante aver sempre presente questo punto, dato che proprio la cultura orientale NON separa corpo/mente/spirito come è successo in Occidente. La tecnica (apparentemente solo…) “materiale” o Waza porta in sé dei precisi elementi che possiamo chiamare “non fisici”. Tali elementi interpretano e impegnano a fondo il piano mentale e spirituale, ben più che una semplice azione di riflesso o “simpatica”. Questi aspetti culturali che normalmente vengono trascurati danno invece spiegazioni, delle istruzioni sul come-cosa-dove e perché eseguire una tecnica interpretando la situazione oggettiva del momento o, in modo universale, di tutti i momenti.

Tra azione materiale visibile e principi agenti, regolatori, invisibili ci troviamo in una spirale doppia che si intreccia dal movimento fisico al mondo esoterico e viceversa (e proprio la spirale, semplice o doppia, si inserisce nel corpo, come ciò che genera la macina del Mulino di Amleto…)

Di conseguenza, se non comprendiamo questo tessuto culturale e religioso, anche se può sembrare estraneo (a me non lo sembra affatto, perché è in sintonia e per varie cose omologa alla nostra Sapienza Tradizionale ancestrale) non possiamo ricevere tutto quello che la disciplina può offrirci, né noi siamo in grado di arricchirla con i nostri dati se non in fattori marginali.

Ricordiamo velocemente:

-      il Taoismo dà una spiegazione della realtà nei suoi vari aspetti e stabilisce delle teorie di identificazione delle forze essenziali e dei fenomeni di interazione che le contraddistinguono,

-      lo Shintō riconosce un rapporto tra l’uomo, la Natura e l’aspetto divino/divinità. Innerva la pratica intendendola come “purificazione” di se stessi e dell’ambiente più una azione di “offerta” che serve a armonizzare gli “aspetti” aggressivi dei Kami, da una parte li placa, dall’altra indirizza l’energia distruttiva verso un nemico effettivo (creare/conservare/distruggere per rigenerare, dalla Trimurti al Ragnarok);

-      il Confucianesimo stabilisce i rapporti, in modo che tra gli uomini, loro e gli dei, loro e l’Ambiente Naturale in generale, le cose funzionino in modo equilibrato con compiti che tutti devono adempiere;

-      il Buddismo aiuta la capacità di sentire se stessi ed essere percettivi di tutto, spinge a educare i propri pensieri, calma le paure attraverso l’autodisciplina.

 


Ora, tutto questa cultura nazionale è proprio connaturata nel giapponese, dagli antichi maestri come Minamoto no Yoshitsune, Nen Ami Jiōn, Iizasa Ienao, e poi Ittōsai, gli Yagyū o lo stesso Katayama Hisayasu. E scorre nel sangue e nel flusso fino ai tempi moderni: guardate i sensei Kanō, Ueshiba e Nakayama Hakudō, o i nostri contemporanei maestri Mochizuki, Sugino e Ōtake. È così connaturata e immanente per i giapponesi che la usano senza accorgersene e non si rendono conto come questo non lo sia per altri, non comprendono come invece sia importante spiegare, mediare, altrimenti in questo “vuoto cognitivo” di base si versano altre interpretazioni date dalla personale cultura (o non cultura) degli allievi occidentali e si creano cortocircuiti.

Alcuni autori occidentali (e anche alcuni maestri orientali) sostengono che queste forme di pensiero giapponesi sono troppo estranee agli occidentali. Sostengono che non occorre darne insegnamento, al massimo deve essere l’allievo-praticante che è arrivato al punto a trovare nel suo mondo il corrispettivo.

E qui ci sono due errori:

-      se non si ha una chiara immagine del dato culturale connesso, non è possibile andare a cercare il riferimento corrispondente nella propria cultura;

-      per vero, la cultura occidentale ha dottrine, pratiche e principi assai simili, direi omologhi, a quelli delle discipline orientali. Si potrebbero interfacciare abbastanza semplicemente.

Di conseguenza, occorre “sapere” il dato per trovare la corrispondenza. Avventurarsi da soli è un cammino che può ed essere fatto ma, senza un sensei che dia dei riferimenti, è più che probabile percorrere vie inesatte, anche se interessanti.

 


Trimegisto, Pitagora, Eleusi, la Cerca del Graal non sono lontani da Lao Tse, Bodhidarma, dall’Onmyōdō, da Kūkai e Zeami. È vero che quelli che cito fanno parte di una nostra cultura che è stata marginalizzata da altre linee culturali più “facili”, “comode” e superficiali, però la Mente e la volontà di ricerca dell’adepto di Arti Marziali, non superficiale, non all’inseguimento della espressione della violenza o del potere, può aprire nuovi orizzonti andando a riscoprire, se non lo ha già fatto, queste interessantissime materie ancestrali.

Sono filosofie, religioni, conoscenze e azioni che sono state represse nei secoli dagli altri pensieri dominanti più convenienti dal punto di vista politico ed economico. Sono conoscenze ancora, con qualche difficoltà, accessibili e studiabili, ma, insisto, occorre sapere bene a qual conoscenze dobbiamo far riferimento, altrimenti navighiamo a vista in un mare molto ampio.

Per esempio, prendiamo un punto che può apparire marginale. Ma non lo è.

Vediamo che il Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū è molto legato ad Hokuto, Guardiano della Stella Polare o Asse Cosmico…

Hokuto, il Grande Mestolo, l’Orsa Maggiore. Le Sette Stelle…

Sono queste “Sette Guardiani”, “Sette Lupi” o “Sette Sapienti”?

Si deve combattere l’Avversario senza fronteggiare Hagun?

Pensate a due figure buddiste legate in generale al Bugei e, ancora come esempio, alla Scuola di Katori: Bishamoten e Myōken. Il primo Re-Guardiano del Nord, Guerriero Oscuro, il secondo Bodhisattva della Polare; nelle Terre di Esperia, la Polare era legata a Saturno. Per dire, Bishamoten è un parallelo di Odino-Marte-Adranus-Indra.

Ma non è solo la Scuola del Santuario di Katori, tutte le Scuole Antiche si muovono verso questi riferimenti del Polo, delle Direzioni e delle Forze in Mutazione.

Ma non pensate che le cose siano diverse o riguardino solo quell’ampia parte della materia che sono le Scuole Antiche, o Koryū. Sono presenti, coinvolgono anche le Scuole Moderne, il Gendai Budō. I riferimenti ci sono, i fondatori li avevano presenti e gli hanno tessuto intorno le loro discipline. E vediamo:

-      il molto incompreso e idealizzato secondo le idee occidentali, Aikidō è intessuto in modo molto stretto con le forme sciamaniche dello Shintō che molti praticanti ripetono senza sapere cosa stanno facendo e avrebbe molti riferimenti con la sua Sapienza dei Suoni, il Kotodama;

-      il Kendō è molto legato al Bujutsu Koryū, ma è stato adattato a un tessuto molto rigido e simbolico con riferimenti alle religioni-filosofie che ho elencato prima, ancora più difficile da comprendere in pieno senza una loro sufficiente conoscenza;

-      il Kōdōkan Jūdō, in Occidente è sconosciuta l’ampiezza della proposta di Kanō sensei (e molto mistificata dai giapponesi stessi), ma per di più non si comprende che i due principi fondamentali di Jitakyōei e Seiryoku Zen’yo (che qualcuno mette in relazione con l’interesse di Kanō sensei verso il pensiero spenceriano) hanno un ineluttabile e fondamentale legame con lo Shintō, il Taoismo e il Confucianesimo. Soprattutto  lo Shintō dà delle linee di scopo molto belle ma ignorate;

-      il Karate è un estraneo, perché (Wado Ryū a parte, che è una Scuola di Jū Jutsu tradizionale in cui sono immessi degli atemi di Karate) dipende dall’ambito antropologico e culturale delle Ryū Kyū, che è diverso da quello giapponese.

Allora ribadisco e SOTTOLINEO il mio pensiero, la mia tesi! Come ribadiscono tutti i testi e suggeriscono gli esercizi, fino al motto del BUN-BU che dà nome a questo scritto, la pratica è formata da due aspetti inscindibili:

-      - l’esercizio che parte dal fisico e comprende gli aspetti mentali e spirituali;

-      - i principi e le istruzioni, gli aspetti che vengono dallo Shin (mente/spirito, detto anche kokoro) che, a loro volta richiedono un esercizio che li “ancori” alla tecnica del corpo.

È ovvio che tale completezza non deve essere resa subito accessibile, e comunque gradualmente, se solo all’allievo adepto che ha dimostrato la sua ferma adesione alla Scuola che pratica.

Ma se non c’è questa “doppia spirale” anche la pratica fisica rischia di seccarsi o restare una cosa “esterna”.

Probabilmente questo presente scritto non basterà per esporre la mia tesi, ma è un punto.

Non posso che esprimere come questa incompleta situazione crei un blocco, uno stop nel passaggio di informazioni e nel miglioramento nella/e disciplina/e, che subisce rallentamenti, involuzioni se non uno stop completo. Loro, i maestri giapponesi, danno per scontati dei dati per loro praticamente innati, o hanno resistenze a comunicarli; noi non li possiamo recepire senza conoscerli e ci troviamo nei fatti in una struttura di apprendimento inadeguata.

Non si può tagliar via un’arte dal suo contesto culturale, sarà qualcos’altro. E mancherà di quello che completava l’originale.

Occorre capire bene l’ambiente originario.

 

Europa, Europa

Intanto il nostro panorama attuale non è che sia confortante. Quanta gente prova un malessere simile al mio? Lo stato presente delle Arti Marziali in Europa, la situazione generale è quella di un fetido bazar.

Ribadisco e sottolineo: a parte pochi illuminati adepti e alcune isole felici, in generale la pratica è massicciamente ignorante, vive di stereotipi, non conosce nulla o quasi della sua disciplina. Spesso la mistifica platealmente “agonisticanalizzandola”, oppure trasformandola in un personale delirio di false etichette e cerimonie inventate.

La schiacciante maggioranza dei “colleghi” ha una preparazione culturale del tutto insufficiente, cosa che non dovrebbe essere nei riguardi di discipline complete che agiscono sull’essere e su ciò che lo circonda. Questi elementi presunti istruttori si basano su pochi dati assunti in modo superficiale, mancanze per di più accompagnate da una forte presupponenza che si esprime con alcuni modelli comportamentali sbagliati.

Si formano dei gruppi che, senza pensare, decidono che ogni disciplina che agisce attraverso il fisico sia solo una sorta di ginnastica, un modo di giocare, di primeggiare o confrontarsi, per cui:

-      Supervalutazione degli elementi fisici quantitativi (più veloce, più forte, più cattivo…);

-      Interpretazione della/e disciplina/e con una errata e deformata coniugazione dell’idea sportiva che si realizza esclusivamente come “agonismo” (gara/competizione per vittoria personale, che è poi un aspetto di “esclusività” e “violenza” molto più spinta che la pratica finalizzata originale delle discipline stesse).

[lo sport moderno “realmente” decoubertiniano è una azione di crescita rivolta verso se stesso per il proprio miglioramento, fisico, mentale, morale, sociale con il superamento dei propri limiti e armonizzando il rapporto con gli altri, che è confronto e collaborazione reciproca. Lo sport olimpico antico era (ed è) una azione sacrale che vede l’atto atletico come sacrificio in onore degli Dei e per la prosperità della propria comunità]

Altri gruppi invece aggiungono o alternano altre interpretazioni che provengono da una distorsione secolare della cultura ancestrale:

-        il principio “buonista” di derivazione deformata dall’influenza del pensiero religioso cristiano semplificato, appesantito dal pacifismo “ignorante” di stampo “benealtrista”. Questo tende a voler “sterilizzare” l’aspetto marziale mettendo avanti aspetti minoritari o secondari: a) “gioco” (che quasi sempre si realizza nel non prendere sul serio e/o impegnarsi) e b) “socializzazione” (che a sua volta si realizza nel ritenere più importante apparire e fare più caciara che praticare);

-        il principio “scientifico/modernista” applicato in modo stupido, che non esamina correttamente la/le disciplina/e, si limita a guardarla, poi la rimodula secondo pregiudizi “di prestazione” e supposta efficienza meccanica/utilitaristica.

Alcune conseguenze sono un diffuso qualunquismo e bovino appagamento delle quattro cose che si sanno; oppure una adorazione mistica di alcuni concetti pseudo-morali, anche questi rimasti di livello superficiale, magari anche mal compresi, declamati a ripetizione quali atti di fede.

Ma, alla fine, tutti trascurano la conoscenza vera, frutto di continuo studio e applicazione, così non possono trovare cosa “move il sole e le altre stelle” per l’empireo del Bugei e a quali tasti della nostra cultura occidentale corrisponda.

Conclusioni: più studio, divulgazione tra i centri di ricerca, mente pulita e ricettiva.

 

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