Aprile 2024 - Cronache di un viaggio in Giappone
Pellegrinaggio
al Katori Jingū
La prima parte di questo nostro viaggio in Giappone era
dedicata a Kyōto, la seconda a Tōkyō. Tra gli obiettivi di questa seconda fase
c’era una visita-pellegrinaggio presso il Katori Jingū, uno dei Santuari Shintō
più importanti del paese, centro del culto del Kami Futsu-nushi no Mikoto,
divinità della Guerra, della Spada, dei viaggi per mare e del Vento.
Futsu-nushi no Mikoto è considerato una divinità
protettrice delle Arti Marziali, spesso nei Dōjō tradizionali in un punto c’è
un tabernacolo che contiene la sua presenza.
È tradizione che questo santuario sia stato eretto dal
primo imperatore Jinmu Tennō nel VII secolo aC, ma è probabile che questo sito
fosse già un luogo sacro dall’antichità più remota (fino ad oggi la preistoria
giapponese viene datata a 35.000 anni fa), certamente dal periodo Jōmon del
popolo Emishi (dal 10.000 aC).
Questo Santuario si trova in un contesto molto agricolo e
dai panorami campagnoli, pur essendo in una zona relativamente vicina alla
capitale, a pochi chilometri all’aeroporto internazionale di Narita e ad altri
grossi centri abitati. Di conseguenza non è semplice per un non-giapponese
raggiungere il luogo (fuori dai centri più importanti è difficile trovare chi
parli inglese, anche scritti e cartelli sono tutti in ideogrammi, se chiedi si
stupiscono del tuo interesse). Tecnicamente esiste una stazione della linea
ferroviaria JR “Katori”, da lì sono circa due chilometri e mezzo a piedi per
arrivare al santuario. Il problema è che il treno praticamente è un locale,
impiega tre ore per fare la tratta tra Tōkyō e questa stazione. Così avevo
studiato e avevo scoperto che prendendo un treno di categoria superiore, più
diretto, si arriva in un’ora alla stazione di Sawara.
Sawara è una cittadina porto fluviale ed è anch’essa a
pochi chilometri dal Santuario, lì si trovano taxi che in pochi minuti e modica
spesa ti lascia proprio all’inizio dell’Omote Sandō. Ricordo che “Omote Sandō”
è la via d’accesso principale di ogni Santuario Shintō.
L’Omote Sandō e i miei compagni di
viaggio
La prima parte della via è larga, fiancheggiata da
entrambi i lati da ristori e vari negozietti di prodotti locali e vari
ricordini tipici. Si tratta di edifici di tipo tradizionale, piccoli e uno
appresso all’altro. Poi si apre uno spiazzo dove c’è il “Secondo Torii”, un
grande portale di colore rosso che segnala l’ingresso al territorio del Kami.
Il “Secondo
Torii”
Il viale, costeggiato da lanterne di pietra e da una foresta a tratti fitta, sale verso la sommità di una collina abbastanza dolce.
È chiamata la “Collina Tartaruga” per via della sua forma.
Il passaggio che stacca dal mondo moderno non è brusco, ma netto. Quando ci si
inoltra su questo viale, passata con le corrette maniere la soglia del Torii,
la sensazione della “presenza” è dapprima diffusa, ma sensibile, poi sempre più
forte e avvolgente. Si sale lentamente, fino ad arrivare al terzo Torii, sopra
una gradinata.
Il “Terzo
Torii” e la Porta Principale
Prima di salire i gradini, a destra c’è una radura con un
laghetto, alimentato da una sorgente attraverso una sottile cascatella.
Dovrebbe essere proprio il luogo dove avvenne il “Fatto del Cavallo” che spinse
il fondatore del Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū, Iizasa Ienao, ad
intraprendere il cammino di ascesi, studio e preghiera che lo portò a ricevere
la rivelazione divina e dare vita alla scuola.
Passato il terzo Torii ci si trova in uno spiazzo, di
fronte si trova la porta principale mentre a destra c’è l’antica “Porta
dell’Inviato Imperiale”, da dove passavano i messi dell’imperatore che
portavano i suoi doni al Kami Futsu-nushi no Mikoto.
La presenza di poche persone, rispettose, educate,
silenti, aiuta a rendere ben recepibili le sensazioni. Prima, in questo viaggio, noi eravamo stati
ai santuari di Fushimi Inari a Kyōto e al Kasuka Taisha a Nara, pur percependo
sempre la presenza del Kami (o “dei Kami”), la folla impediva di potersi ben
concentrare sul “santo”. Anche se ambedue i santuari sono fuori dalle
rispettive città e situate in parchi assai ampi, si sente ancora la vicinanza
dell’agglomerato urbani che fa da sfondo a molti panorami. Forse potendo girare
in orari molto mattutini, o verso il tramonto se non addirittura la notte,
quando i suoni della modernità si affievoliscono, sarebbe lì più facile sentire
con più pienezza. A Kashihara, il santuario di Jinmu è un luogo staccato
dall’abitato. Indescrivibilmente si sentiva come la presenza dell’antica città
scomparsa nel tempo, la prima capitale, del grande palazzo imperiale e del
borgo abitato. È una sensazione molto simile a quella di guardare l’altare a
ripiani con le bambole di corte che si espone per la Festa delle Bambine. Un
divino raffinato, sottile, pieno di simboli, gentili allusioni e suggerimenti. Un
divino paterno, genitore di tutti.
Quello di Katori è un divino che dà la stessa impressione
di una carica a cavallo di samurai nelle loro armature, del vento che soffia
impetuoso tra gli alberi, forte e manifesto ma, allo stesso tempo, fine come il
sibilo della spada che taglia l’aria.
Nella visita a Nara e Kashihara ero stato guidato da Wada
sensei del Katayama Ryū. Devo dire che questa esperienza mi ha reso più capace
di distinguere le sensazioni e i tempi che le ritmano.
Andiamo avanti e, varcato il portone principale ci si
trova in un altro ampio spiazzo, con la Porta Torre, il “Rōmon”, disassato e,
purtroppo, ingabbiato per restauri (metto una foto del viaggio di 10 anni fa,
per darne la visione).
Sopra
il Rōmon dieci anni fa, sotto oggi, in restauro
In questo spiazzo tra la prima porta e il Rōmon dovevano
trovarsi i templi del buddhismo esoterico dedicati a Bishamoten e a Kannon,
poco più in là, verso ovest, la casa di Iizasa Ienao sōke e dei suoi
discendenti.
Queste costruzioni furono smontate, demolite o spostate
quando, dopo la restaurazione Meiji (1868), ci fu lo Shinbutsu Bunri, la
separazione tra i luoghi Shintōisti e quelli buddhisti, per incrementare
l’importanza della figura dell’imperatore. Così gli Iizasa si spostarono dove
hanno adesso la casa e il Dōjō attuale, ai piedi della collina. Mentre le
costruzioni e le statue delle divinità buddhiste furono spostate e rimontate,
una più a valle, le altre a Sawara (poi farò un accenno).
Varcato il Rōmon ci troviamo in una terza piana, alla cima
della collina. Qui sorgono gli edifici di culto principali (e/o più “esterni”).
L’Haiden (sala principale dove è posto il “tabernacolo” del Kami) è subito di
fronte, ad una ideale distanza dal portale. È stato costruito nel 1940.
L’aspetto è molto imponente, bello. Ci sono elementi stilistici che risalgono
al periodo Muromachi ed altri al più recente periodo dello shōgunato di Edo.
L’Honden (Sala del Culto) è del 1700, è posto allineato
dietro l’Haiden.
L’Haiden precedente, del 1700, è a sinistra dell’attuale,
oggi viene usato come sala per le preghiere.
Ogni santuario ha una sua atmosfera, una sensazione che
differisce da quella degli altri come melodia da melodia. Quella del Katori
Jingū fa pensare alle rustiche virtù marziali, semplici, dirette, assolutamente
chiare. Fa pensare alla fama di guerrieri potenti ed efficaci che storicamente
e nel racconto posseggono i Bushi del Bandō, le terre ad Est, estranei dai
sofismi e dalle sofisticazioni della capitale.
È la bellezza della lama nuda, non montata, comunque
possibilmente decisiva. I due concetti-specchio di Katsujinken e Satsujintō
sono qui espressi, anche come monito della presenza della Natura: il vento
gonfia le vele delle navi favorendo il viaggio, trasporta semi e pollini,
rinfresca l’aria; ma può travolgere, schiantare, dare potenza distruttiva al
fuoco.
Anche qui abbiamo meditato e comunicato.
A destra dell’Honden, staccate, ci sono alcune costruzioni
che ospitano uffici e altre strutture amministrative. C’è anche un piccolo
museo, che dieci anni fa avevo visto solo dall’esterno e questa volta volevo
visitare con calma. Peccato che fosse chiuso per restauri! Contiene anche
importanti reperti della scuola di Spada di Katori. Una vera disdetta!
Uno particolare è importante, soprattutto per la scuola di
Spada di Katori: si tratta dell’Okunomiya.
Un santuario Shintō è un luogo dove la “presenza” del suo Kami
si manifesta in diversi punti, dove sono presenti i vari “Aspetti” della
divinità. Nell’Okunomiya è presente l’Aramitana di Futsu-nushi no Mikoto, la
sua natura selvaggia e violenta. È un aspetto potente che deve ricevere un
appropriato culto. Il luogo dove si trova è una parte della collina della
Tartaruga chiamata Umekiyama, la Collina dei Prugni. C’è un’altra spianata e
qui si allenava Iizasa sensei. È un posto nascosto, senza indicazioni in una
lingua occidentale che lo indichino, che nella visita di dieci anni fa mi era
sfuggito.
Questa volta avevo studiato bene le mappe e i punti di
riferimento. Riusciti dal Rōmon abbiamo percorso un sentiero tra gli alberi,
verso Ovest.
La
spianata con la tomba di Iizasa Ienao, il fondatore
La
Tomba del Fondatore
Le Lapidi dei Sōke
Abbiamo portato a cospetto del Ryūsō e dei sōke,
idealmente e umilmente, la presenza e l’impegno dei praticanti italiani della
scuola.
Rispetto e culto il Kami e verso i “Nostri Antenati del
Bugei”.
Ci siamo presentati secondo i modi all’Aramitama del
Katori Daijin.
Dobbiamo ricordare e sempre tener presente che uno dei
compiti che aveva assunto Iizasa Ienao sensei era quello di placare con la sua
pratica, che si svolgeva lì in un Dōjō naturale, una spianata tra i prugni,
l’Aramitana del Dio. Un impegno che tutti i Deshi della Scuola di Spada di
Katori devono onorare nel loro Keiko.
Ben carichi siamo scesi dalle Colline della Tartaruga e
dei Prugni.
Il mio viaggio di quest’anno, nel personale, era ed è una
ricerca di comprensione dello Shintō attraverso quanto imparato e assorbito dai
miei studi sulle religioni antiche d’Europa e del Mediterraneo, sull’antropologia
e su diversi studi specifici che sono riuscito a procurarmi su questa religione
giapponese. Di presenza ho cercato piuttosto di “sentire” con il “corpo
unificato” (fisico, mente, spirito) il “Luogo” e la “Presenza”. Non è facile
scriverne, forse riuscirò col tempo a farlo…
I
rappresentanti del Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū - Sugino Dōjō
Mudōkan
Palermo
Le coincidenze per il ritorno richiedevano che non ci
fermassimo oltre. Ma un viaggio più organizzato dovrebbe comprendere una visita
allo Shintokusan Shinpuku-ji, il tempio buddhista dedicato a eretto anch’esso
da Iizasa sensei, posto a valle della Collina della Tartaruga; una visita alla
città di Sawara, già porto del Santuario, con le sue stradine di case
tradizionali, il fiume Tone, i templi buddhisti collegati al Santuario e che
ospitano reperti di quelli che sorgevano lì. Ancora raggiungere Kashima,
visitare il Santuario gemello e, da lì, raggiungere la collina nella pianura di
Takamagahara, dove ricevettero l’illuminazione Kuninazu no Mabito, Matsumoto
Bizen no Kami e Tsukahara Bokuden.
Ma questa sarà un’altra storia…
È importante che lo studioso serio dell’Arte Marziale capisca bene che ci sono connessioni profonde tra la cultura e la religione e l’Arte stessa, connessioni che possono e devono essere affrontate per capire la pratica stessa, motivarla. Trovare quella maggiore “profondità” che adesso sfugge. Spesso si tratta di “temi” che sono comuni a tutte le culture, costruzioni e strutture apparentemente diverse ma sostanzialmente omologhe. Ma altrettanto spesso si tratta di “cose” che qui abbiamo smarrito e che questo viaggio culturale può aiutare a riscoprire e riguadagnare alla Conoscenza.
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