Principi, notizie, suggerimenti e riflessioni sul Kenjutsu

Dal testo “Secrets of ITTŌ-RYŪ- book one” di Junzō Sasamori

1) Teoria della Spada giapponese
Secondo l’autore, il maestro e XVI sōke della scuola Ōno-ha Ittō Ryū Sasamori Junzō (1886/1976 – questa teoria è in linea con simili dichiarazioni di altri maestri) la Spada in Giappone riceve una particolare attenzione e viene posta molto in alto nella scala dell’importanza.
Si potrebbe pensare che questo si verifichi solo dal XII secolo in poi, perché è allora che la casta dei guerrieri prende in mano le redini della politica, ma l’alto ruolo dell’arma è presente da già prima, nel mito e nelle storie ancestrali e leggendarie dei periodi più antichi. Inoltre la Spada è uno dei Tre Tesori Imperiali. Di conseguenza appare fondata l’affermazione di Sasamori sensei: “...l'ideologia distintamente giapponese della spada [剣太刀の思想 -Tsurugi-tachi no shiso – lett. “L’idea della Spada a Due Tagli e di quella a Un Taglio”] ha avuto origine ed è stata trasmessa attraverso il popolo giapponese fin dai tempi antichi, ed è la quintessenza della scherma giapponese che ha portato questa ideologia a uno stato di perfezione...”
Poche righe più avanti troviamo l’interessante citazione estratta da un testo del famoso (per chi è un ricercatore sulla cultura del Giappone) studioso del XII secolo, Ōe no Masafusa, rinomato poeta, attento storico delle cerimonie di stato. Questo autore scrisse: “...La "Virtù Marziale" [武 - Bu] è esistita nell'universo fin dall'inizio e poi, in un istante, ha diviso Cielo e Terra. Era proprio come un pulcino che becca il suo uovo. Il Marziale alla fine divenne la fonte di tutte le cose e l'origine di centinaia di scuole di pensiero...”

Leggendo e commentando queste parole per prima cosa notiamo la conferma della profondità di quanto il “Bugei”, l’essere e l’aspetto guerriero del popolo giapponese, fosse ramificato in questa cultura. Ricordiamo che Ōe no Masafusa era un letterato, un politico di corte, di conseguenza un personaggio abbastanza estraneo ai guerrieri che proprio in quel periodo stavano già esercitando un forte condizionamento sulla corte imperiale, limitandone zone d’azione e poteri.
Secondo punto da osservare è l’esposizione di un concetto taoista circa l’origine di tutte le cose. Il Taoismo è ben conosciuto come dottrina filosofica e scientifica strutturata dai re, intellettuali e sapienti cinesi, ma in una forma più semplice questo “sistema” era probabilmente già presente nelle altre culture dell’Oriente (praticamente, in un modo o nell’altro, in tutto il Mondo, ma in Occidente questa cultura è stata poi “sommersa”) e significativamente in Giappone. In questo caso, ed è il terzo punto, lo studioso pare attribuire all’essenza “marziale” primordiale il merito di essere stata la “scintilla” che ha provocato la separazione degli “Opposti Complementari” e da lì, la formazione delle “Diecimila Cose”.
E’ un’osservazione affascinante e secondo me, contemporaneamente, estremamente fondata. Invito il lettore che mi sta leggendo a rifletterci su (e, eventualmente, avviare una discussione).
Tutto questo ambiente culturale giapponese, come fa notare l’autore Sasamori sensei, è molto diverso dal contesto culturale cinese, dove sono sì stati tramandati i nomi e le gesta di numerosi guerrieri, ma l’uso e il mestiere delle armi viene deprecato sia dai testi taoisti che da quelli confuciani e buddhisti. Al più viene sottolineato come i segni dell’ideogramma di “guerriero” [武 – giapp. BU– cinese Wu] contengano in sé l’idea di “fermare il conflitto” o “arrestare l’arma”, concetto espresso anche in molti altri testi dei maestri giapponesi, come Iizasa Ienao sensei del Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū e da Katayama Hisayasu del Katayama Ryū. Ma i letterati cinesi pongono essi stessi su un altro piano, più importante rispetto ai guerrieri; anche se, al solito, sono poi proprio i guerrieri che si devono mettere sulle spalle il compito di risolvere militarmente quanto causato dagli atti e dalle volontà dei “saggi eruditi politici”.
Il Giappone importa molta cultura dalla Cina, ma la adatta sempre allo “spirito” nazionale di fondo proprio di quel popolo. Il risultato è caratterizzato da una particolare “originalità” che è, contemporaneamente, raffinata e diretta.

2) Le Spade Divine: una nuova notizia
Abbiamo già parlato delle “Spade Divine” in altri scritti e a quelli rimandiamo per una trattazione più ampia. Però vogliamo elencarle di nuovo, in breve, dato che Sasamori sensei ne aggiunge una di cui non avevamo notizia:
- la più antica e potente è la Spada di Izanagi, la “Spada da Dieci Pugni” [十拳剣 - Totsuka no Tsurugi ];
- poi vi è la Spada trovata dal dio Susanoo in una delle code del drago Yamata no Orochi, la Ama no Murakumo no Tsurugi [天叢雲剣 - Spada Celeste che Raduna le Nuvole], detta anche Tsumugari-no-Tsurugi [Spada Ben Affilata] e, infine, chiamata Kusanagi no Ken [草薙の剣] dopo le gesta dell’eroe Yamato Takeru;
- e qua la novità di cui il maestro ci dà conoscenza,la spada del dio Ōnamuchi, la più importante divinità “terrestre” del pantheon giapponese, la “Ikutachi” [生太刀 - Lett. “Spada Vivente” o “Grande Spada Che Dà la Vita”] che rappresenta il concetto di “Spada Salvifica” più tardi incluso da molti maestri di spada nelle loro scuole;
- ricordiamo infine la “Futsu no Mitama no Tsurugi” [布都御魂剣], la Spada del dio Takemikazuchi no Mikoto.
Se si legge il mito che le descrive, a parte la Spada di Izanagi, tutte e tre le altre hanno la caratteristica di cercare di evitare il conflitto e cercare la pacificazione, invece di esprimere una potenza distruttiva. O, meglio, la loro essenza è così potente che il nemico si arrende prima di combattere.
Ricordo che lo “Tsurugi” o “Ken” [剣 – l’ideogramma contiene il significato di “taglio netto” e “penetrare dentro”] è una spada a due tagli, la cui struttura ammonisce il suo utilizzatore a non andare contro l’idea di giustizia ed armonia che vengono dal Cielo, impegnandolo a combattere decisamente solo chi viola, appunto, queste direttive divine. Differisce dalla forma successiva della spada Tachi [太刀] o Katana [semplicemente 刀], curva e a un solo taglio. L’avere un solo taglio comporta che la minaccia, l’energia distruttiva sia direzionata solo verso l’esterno, di conseguenza l’impeccabilità del guerriero dipende solo da lui e non viene “verificata” dalla sua arma.
Sasamori sensei riporta anche un’altra coppia di ideogrammi omofoni che lega al Tachi [多知 - lett. “grande saggezza/grande conoscenza”], ideogrammi che, personalmente e precedentemente, non avevo mai trovato. La riflessione è che il maestro (e quanti altri hanno usato questi ideogrammi] voglia sottolineare la necessità per uno spadaccino di raggiungere una formazione molto ampia e profonda.
Il che è vero. Chi si avvicina alla Spada pensando di “tirare spadate”, o di “fare il punto” in un contesto agonistico, o di “sembrare figo” grazie ad asettici movimenti in cui agita o sfodera l’arma, non è altro che l’ennesimo prodotto dell’edonismo e superficialità attuale.

3) Spada e Dinamica delle Cose
Sasamori sensei scrive poi alcune righe un po’ criptiche: “...sono arrivati [gli studiosi e i maestri] a vedere la spada come un taglio dell'uno in due, del due in quattro, e dell'aggiunta e della moltiplicazione di quel numero, per poi reintegrare tutto in uno. Questo descrive un processo di prima creazione, ulteriore sviluppo e infine portare alla perfezione, ed è così che si sviluppano le tecniche della spada...”.
Questo brano si ricollega alla precedente citazione di Ōe no Masafusa. Il senso è che i principi e la tecnica della Spada, scoperti, interiorizzati e poi espressi dai vari maestri e guerrieri, agiscono sull’individuo e sulla realtà con la stessa progressione creativa descritta dal Taoismo sulle Origini e Sviluppo delle Cose fino al loro consolidamento. La Spada è il medium attraverso il quale l’individuo “conosce” e perfeziona se stesso e, per quanto i tempi glielo rendano possibile, il suo ambito d’azione.
Più avanti Sasamori sensei ancora scrive: “...si dice delle Arti Marziali del Giappone che "Le Arti Marziali degli Dei non Uccidono [神撫不殺 - Jinbu Fusatsu - lett. “Il Dio Carezza e non Uccide”]...”. E’

interessante sapere che l’affermazione “Jinbu Futatsu” viene fatta risalire al Re Wen del regno Cinese di Zhou (1152/1056 aC) di cui si tramanda la virtù, giustizia e gentilezza del suo regno. Re Wen aiutò i sudditi, fu un modello di politica economica e favorì la pace intervenendo come paciere nelle dispute tra altri regni. A lui si attribuisce:
- il concetto del “Mandato Divino” che legittima i governanti e impegna ogni uomo;
- lo studio gli Otto Trigrammi del Ba Gua fino a comprenderne i rapporti e elaborare per primo i 64 Esagrammi dell’ I Ching.
Il concetto della “Divinità Marziale” che evita lo spargimento di sangue viene espresso da diverse scuole del Bujutsu. Noi possiamo citare la tradizione del Katayama Ryū che, con una modifica, lega questo precetto al primo imperatore semidivino Jinmu Tennō (神武天皇 - 711/585 aC). L’istruzione del Katayama Ryū dice “Shin-bu bu-satsu [神武不殺 - “L’imperatore Shinbu (lettura fonetica diversa degli ideogrammi di Jinmu) non uccide”. Con questa frase si afferma che nel conquistare il paese Jinmu non versò sangue e che tale esempio deve essere di guida al guerriero-spadaccino.
Tranne Musashi e alcuni altri, i maestri fondatori e i loro discendenti sottolineano come l’Arte Marziale agisca per proteggere e promuovere popolo e nazione. Sasamori sensei fa notare che l’ideogramma Bu è omofono di [産], che, a sua volta, porta il significato di “Portare avanti, produrre e connettere”. L’omofonia tra ideogrammi è un sistema che molti maestri usano nelle loro opere per creare della connessioni filosofiche propositive. Ricordiamo l’espressione di Iizasa Ienao sensei, fondatore della scuola di Katori, che identifica la “Strategia/Arte della Guerra” [兵- hei] con lo “Sviluppo della Pace” [平- hei]. Credo che sia stato un fermo proposito da parte di maestri

caposcuola di scuole di combattimento o dei maestri di strategia e di morale del guerriero, fare in modo che l’attività marziale comprendesse etica e morale, in modo da limitare gli eccessi che sempre si manifestano nelle guerre e nei conflitti tra uomini.
Sasamori sensei attribuisce alla educazione data dalle scuole marziali delle specifiche doti che elenca: “...vari tipi di comportamento virtuoso applicati nella vita quotidiana come: crescita e cultura; benevolenza e misericordia; magnanimità e generosità; giustizia e coraggio; verità [真鋭 - Shinei- Lett. “Nitidezza”] e giustizia; pulizia e purezza; cortesia e rispetto; semplicità ed eleganza; equità e giustizia; servizio e sacrificio; cooperazione e mutua assistenza; diligenza e duro lavoro; e miglioramento e progresso...”.
Non posso che concordare su questa lista e proporla al lettore, una memoria da considerare per verificare il risultato del corretto e completo allenamento ad una vera Arte Marziale.
Questa prima esposizione ha trattato alcuni punti emersi dalla lettura del libro, basati sugli aspetti “cosmici” e filosofici del Bugei, l’Arte Marziale. Voglio sottolineare come lo studio delle Arti Marziali sia un lavoro integrato che si effettua su più piani. L’allenamento fisico sulle tecniche e sui principi della scuola di cui si è allievi è la parte più importante, la prima. Senza questo “duro lavoro” non vi è nessuna possibilità di arrivare comprendere gli altri aspetti, mentali e “spirituali”. D’altra parte, senza una comprensione di alcuni aspetti culturali orientali, senza la conoscenza della storia e delle istruzioni tramandate dalle scuole stesse, si rimarrà sempre su un piano incerto e superficiale.
Anche se qui parliamo del Kenjutsu, i temi sono estendibili a tutte le altre Arti Marziali, anche quelle “disarmate”.
E’ ovvio che ognuno si impegna quanto riesce o vuole, ma se la sua pratica non seguirà l’approfondimento necessario, è altrettanto ovvio che rimarrà fortemente limitato, quasi un invalido, anche se vincerà campionati, anche se “qualcuno” gli darà gradi prestigiosi,.
E questo studio continuo ed approfondito è assolutamente obbligatorio per chi vuole poi, debitamente autorizzato, insegnare.

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