Dallo Iai all’Heihō, invito alla pratica globale e alla
lettura
Lo Iai rappresenta il momento in cui si genera l’azione o come la stessa azione non-diviene. Tutto nelle Arti Marziali (sarebbe più corretto, anche se difficile per voi lettori, invece di “Arti Marziali” usare il termine Heihō - 兵法/平法) parte dallo stato di Iai ma non questo basta. Le energie continuano ad agire finché non sono state ricondotte all’equilibrio.
“Separare” i sistemi riducendoli in una singola parte è stato l’errore iniziato all’avvento del Gendai Budō e poi continuato, anzi ingrandito da due opposte tendenze: quella di accentuare la caratteristica “sportivo-agonistica” della pratica e dell’insegnamento, da un lato; dall’altro quello di esaltare i contenuti filosofici e simbolici, però a deperimento del significato del gesto nella sua realtà.
Possiamo vedere che gli stessi innovatori del Gendai Budō si resero presto conto che “qualcosa” non andava:
- Jigorō Kanō sensei si era reso conto dell’incompiutezza del suo Jūdō e voleva rimediare attraverso il Budō Kenkyukai, ma la sua morte gli impedì di completare il progetto;
- i maestri che fondarono il Kendō si accorsero presto dei pericoli dati dalla sintesi gestuale e dalla preminenza dell’esercizio di confronto, introducendo la pratica dello Iai in parallelo, lo studio di una Koryū (scuole classiche tradizionali) e, secondo alcuni, la pratica del Tameshigiri o taglio di “bersagli” appositi con una lama reale o Shinken;
- altri maestri, tra cui prendiamo come esempio Hironori Ōtsuka, compresero l’incompletezza di alcune proposte, il Karate di Funakoshi sensei in questo caso, e vi unirono il programma di una Koryū di Jū Jutsu formando il Wadō Ryū.
Al contrario troviamo altri maestri che perseverarono o nella sportivizzazione, o nella “smaterializzazione”, come possiamo vedere oggi per il primo caso nel Jūdō olimpico, nel Karate, per il secondo nello Iai tipo Seitei e anche in diverse scuole classiche “adeguate” al sentire moderno.
Corretto, ma difficile da attuare senza una forte maturità
e una pari abnegazione, il cammino di chi va a percorrere il curriculum di una
Koryū o, seguendo l’indicazione del Kobudō Kenkyukai di Kanō sensei, si impegna
nello studio di più discipline, come teorizzato e fatto dai maestri Minoru
Mochizuki (Yōseikan) e Kenshirō Abbe (Kyūshindō).
Le discipline “parzializzate, per una ragione o per l’altra, alla fine non danno una formazione completa e lasciano dei “vuoti” nel praticante anche se raggiunge un livello molto alto. Alcune di queste “eccellenze” si accorgono prima o poi delle lacune e cercano di colmarle studiando le origini della loro disciplina e altre che ritengono complementari.
Per cui, con queste considerazioni e nella consapevolezza della situazione attuale, per chi vuole avere un corretto e completo cammino di realizzazione e completamento del Sé attraverso la “Via del Guerriero” di Tradizione occidentale ed orientale, il consiglio e l’esortazione è quello di intraprendere il cammino completo che è sopra suggerito.
A quanto scritto va evidenziato un altro punto.
Oltre la completezza dell’aspetto materiale, ovvero l’uso
di armi, mani nude, colpi, corpo a corpo, misto, occorre approfondire l’aspetto
culturale e teorico.
Quest’ultimo comprende un aspetto generale, storia,
cultura e antropologia del paese, in questo caso il Giappone dove, per esempio,
gli aspetti del Taoismo e dell’animismo ancestrale, o del buddhismo esoterico,
sono ben radicati nella struttura delle discipline e le condizionano completamente
sin dal gesto fisico, e uno particolare che si rivela attraverso i testi
scritti dai vari maestri, i fondatori e i prosecutori.
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