Prima del Budō Kenkyukai

SOLILOQUIO, COLLOQUIO, RIFLESSIONE…

Due righe per discutere e fissare alcune considerazioni venute fuori da letture ed esperienze personali di questo ultimo periodo.

Nello Yōseikan Budō di Hiroo Mochizuki sensei e, per esteso, nell’insegnamento della scuola Yōseikan disceso da Minoru Mochizuki sensei, esistono due kata che sono una vera e propria cerniera nella pratica dell’allievo non più “principiante”. Questi Kata sono il Tai Sabaki no Kata (Kata a mani nude) e il Ken Kihon Kumite (Kata di Spada).

Si tratta di due Kata di tipo tradizionale (a due), o, come si dice nel gergo “Kumite/Kata”. Infatti forniscono dei principi per affrontare il combattimento in modo non più casuale o basato unicamente sulle caratteristiche fisiche individuali, ma applicando in modo preciso dei dettami della scuola Yōseikan, che presiedono alla riuscita, in modo per noi positivo, dello scontro.

Questi Kata venivano, nel primo periodo dello Yōseikan Budō, voglio dire gli anni ’80 e ’90, richiesti per l’esame di II Dan, considerato, allora, l’esame più difficile, insieme a quello di IV Dan, del curriculum.

Eseguire correttamente questi Kata voleva dire aver fatto un salto di qualità notevole e avere in sé degli elementi che, coltivati ed allenati, avrebbero formato un budōka veramente ed oggettivamente forte.

Lo scrivente ricorda bene il periodo in cui iniziò ad apprendere questi esercizi, che, per lui costituivano un’esperienza veramente nuova e molto difficile da affrontare. Per una serie di eventi ebbi la fortuna di ricevere numerose sessioni d’istruzione direttamente da Hiroo Mochizuki sensei stesso, e, per quanto riguarda il Ken Kihon Kumite, anche degli insegnamenti di Minoru sensei. Nondimeno ricordo che l’apprendimento fu difficile, sia per me che per altri che lo studiarono in quello stesso periodo e, mentre superai il Ken Kihon Kumite di slancio con un’ottima esecuzione bilaterale in coppia con il mio collega di Milano, penai assai sul Tai Sabaki no Kata, tanto che ci vollero un anno di tentativi per riuscire a trovarne il bandolo.

Negli stessi esami, l’esaminatore, preciso e severo, fu Hiroo sensei stesso. La soddisfazione di entrambi, sua e mia, quando superai la prima e la seconda prova, fu veramente grande.

Questi due Kata mostrano come va eseguito, secondo le occasioni del combattimento, il principio base della scuola Yōseikan, vale a dire la triade TSUKURI (Attirare) – KUZUSHI (Sbilanciare) – KAKE (Applicare), inoltre mostrano come usare il SEN (iniziativa) e le altre due triadi del TEMPO e della DISTANZA. Arrivati alla conoscenza del Kata certificata dal severo esame, andava applicato quanto mostrato dai principi dei Kata a tutta la panoplia delle forme “singole” dello Yōseikan, approfondendo e “rendendo viva” la pratica.

Come definì con grande precisione un mio collega di allora, questi Kata davano il fondamento e la realtà dello Yōseikan Budō, e chi li capiva aveva in se le basi per il vero combattimento che, secondo le caratteristiche individuali e la bontà del proprio studio, si sarebbero manifestate nel tempo.

Nella mia vita nello Yōseikan Budō vidi poi molte persone dare l’esame su questi Kata, ma pochi interiorizzarli veramente e svilupparli nel tempo. Inoltre la loro difficoltà era una vera e propria mannaia. Quando si affrontano occorre spogliarsi di tutto ciò che si crede di avere imparato, di tutti i preconcetti e le idee, bisogna rimettere in gioco se stessi, rinunciare a tutti i trucchi e gli “speciali” che permettono alla persona, fino a quel punto, di aver un buon randori, e ricominciare da capo a studiare, magari passando attraverso un periodo di cattiva resa o di imbarazzo, per poi uscire come una farfalla dal bozzolo. Allora accade che molte persone si rifiutano di rinunciare, di rimettersi in discussione, e spesso smettono, o scantonano, o altro. Oggi questi due kata si danno in due esami successivi per gradi diversi, per il terzo e quarto Dan, e forse adesso addirittura più avanti, perchè “sono difficili e la gente ha bisogno di più preparazione”. I burocrati, e chi vuole vita facile, si trovano dappertutto.

Ma, a parte questi “incidenti di percorso”, i due Kata rimangono e costituiscono un formidabile insegnamento.

Ora, più di vent’anni dopo e con le esperienze in più fatte in questi anni, tra cui lo studio di altre scuole di scherma giapponesi come il Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū e il Katayama Hōki Ryū, più la visione di molti filmati di altre scuole, e la lettura di testi come il “Gorin no Sho”, l’”Heyo Kaiden Sho”, i trattati di scherma medioevale e rinascimentale d’Occidente, e brani di maestri di Kendo, articoli vari, colloqui scritti ed orali con amici e colleghi di altri stili, mi trovo seduto su una pensosa poltrona (e poi davanti il computer a scrivere) a meditare e vedere pensieri teorici, flash di

varie esperienze negli anni, che si incrociano per trovare un bandolo e quella risposta che gli adepti cercano nelle loro Arti, risposta che è tra il Graal e la Pietra Filosofale della pratica degli anni…

Il ricordo più “antico” è quello della prima “Arte Marziale” fatta, le lezioni di fioretto su una pedana addossata ad un muro, lezioni che prendevo a scuola, ero in prima media. Fu solo un anno perché poi le lezioni chiusero per i pochissimi allievi frequentanti, eravamo tre/quattro allora, perché questa disciplina prima frequentatissima veniva considerata “desueta e fuori moda” dalla maggioranza dei nuovi ragazzini. Il consumismo iniziava a serpeggiare alla fine di quegli anni ’60 e il calcio era più facile, popolare, “di modello”. Facevamo in pedana poche cose e ripetute, la lezione in definitiva pochi minuti in coppia col maestro, affondo, cavazione, prima, seconda, terza e quarta, distanza e distanza media. Il fioretto cerca il ferro, allora non lo sapevo, ma mi è un po’ rimasto dentro…

Molti anni dopo, nell’approccio dello Yōseikan Budō, ecco mi ritrovai in mano quei nuovi “fukuro shinai” fatti con una canna di plastica ricoperta da un tubo di gommapiuma e da un involucro di stoffa. La tecnica dei colpi fondamentali, con l’onda-shock, era la prima cosa che avevamo, poi alcuni schemi semplici. Andavamo un po’ sull’esempio di quanto aveva immagazzinato la nostra immaginazione con i pochi film di Kurosawa, quello che vedevamo fatto da Mochizuki sensei, sull’istinto innato che qualcuno aveva e altri no. Lo studio vedeva molto lavoro col Bokken, poi l’applicazione semilibera o libera con gli attrezzi imbottiti. Senza protezioni. I lividi sulle mani erano fastidiosi, più che le botte in testa quelle in faccia dolorose, molto dolorose. Però l’esercizio era fatto con coscienza e cercando di rispettare quella che pensavamo essere la “realtà”, con le spade d’acciaio, il loro peso, il tagliente, la punta e il pericolo. Di avere dei tempi simili all’oggetto reale. Spesso, dopo uno scambio, qualcuno ammetteva: “ho colpito, ma non era reale”.

Io portai, non so ancora se sbagliai o no, un colpo della scherma palermitana di sciabola, che ebbe nell’ottocento molti interpreti di valore e una scuola stimata.. Collegai quell’azione e il suo principio, da una ispirazione, una tecnica di Kendō, che trovai descritta su un manuale delle edizioni Mediterranee, il colpo con una mano (non mi ricordo adesso come si chiama – questo colpo nel Kendo normalmente è al Men, il capo). Descrivendo in breve, dopo un’azione preventiva che attirava l’attenzione del mio avversario in alto e verso il suo “davanti”, uscivo di lato tenendo la spada solo con la mano sinistra (guadagno di allungo) e tiravo un fendente alla caviglia destra dell’avversario. L’azione era (ed è) valida, ma esce dal maneggio schermistico classico della Katana. Portato nelle prime gare (in alternanza ad altri colpi più tradizionali) fu subito efficace e, tra i miei vari ricordi, la finale a squadre al campionato europeo di Merù, dove battei nella prova di Spada proprio il capitano della squadra tedesca, oppure il mio allievo Stefano che, agli incontri internazionali di Marignano, “fece il cappotto” a uno dei più forti atleti di sempre, uno svizzero poi campione del mondo. Questo colpo venne poi sistematizzato (così e nell’altra variante che più usavo) da una scuola nazionale europea che ne fece il suo cavallo di battaglia.

Ecco, la spada “da combattimento” dello Yōseikan Budō… Una bella intuizione di Hiroo sensei che, purtroppo nel tempo ha fatto una cattiva fine travolta dalla pratica agonistica. Senza la severissima attenzione che nel Kendō fanno per aggiudicare i punti, questo è il rischio e ciò che accade. Però l’idea è buona e ricordo con piacere anche Minoru sensei usare più volte l’attrezzo e avendone parole di apprezzamento. Si dovrebbe “rinnovare” l’oggetto e fare in modo che sia più veritiero.

Qualche lezione fa, in un turno di Katori Shinto Ryu per i miei allievi più “anziani”, per spiegare una successione di due/tre “frasi”, mi è venuto di riprendere in mano dopo molto tempo uno di questi attrezzi, avendone dato un altro al mio uke, e far visualizzare quello che accade. Tra l’altro, stiamo costruendo, qua al Dōjō, dei Fukuro Shinai tradizionali che serviranno presto per la pratica del Katayama Ryū, ma intendo testarli anche in altre possibilità, ruoli, stili.

È una necessità che sento, parallela a quella di testare i movimenti con una shinken e “fare i tagli” ai makiwara.

Il cammino nelle Arti Marziali tradizionali nasce dalle armi e nelle stesse trova la sublimazione maggiore, per quanto sia più vario e divertente il combattimento senz’armi, e più vicino a così come ci sentiamo. Ma è nella nobiltà della Spada e nella sua spietatezza che si trova il punto più alto, questa sublimazione.

Devo, adesso, riprendere la ricerca mai sospesa, sui principi di quei Kata e cercarne lo studio ed applicazione sul vasto orizzonte in cui mi muovo, io, e, di conseguenza, il mio Dojo

Il Maestro Mochizuki più volte ci ha illustrato i vari aspetti di quello che lui chiama “sensazione”. Non ha mai dato di questo concetto la parola giapponese, ha sempre detto sensazione. Altri concetti, come il MA (intervallo dinamico) e il SEN (Iniziativa) li ha espressi in giapponese, questo mai. È come se non avesse voluto che noi poi potessimo, leggendo altri testi, ricevere su questo concetto dei significati che lui non voleva… Un problema nella comunicazione tra orientali e occidentali è dovuto al fatto che l’occidentale post medioevale tende ad effettuare una scissione completa tra corpo e spirito, considerandole due entità pressoché separate dove il secondo è come prigioniero del primo. Anche le correnti materialiste, dando la loro preminenza d’importanza al pensiero, nella maggior parte dei casi continuano una scissione pretestuosa e bugiarda. L’integrazione di ciò che noi scindiamo in tre, è invece normale per gli orientali, senza soluzione di continuità. Dall’energia più sottile dello spirito alla materializzazione fisica del corpo, in realtà è un continuum dove tutto collabora al tutto con un passaggio incessante di azioni e interazioni da un estremo all’altro. Così, come ricordo i miei vani tentativi in analisi o, all’opposto, di misticheggiare questi principi, ora ne sono “più” (credo) conscio (o, forse, sarebbe meglio dire “non conscio” ?) .

Allora, la ricerca attuale si appunta sulla interiorizzazione del movimento nel Bacino (Hara), nella ricerca della percezione del Seika Tanden e del Koshi (che visualizzo nell’Osso Sacro). Poi nella ricerca del Ritmo e le sue leggi, esplorando parallelamente il Sen ed i suoi tempi. E poi …. Ce ne sono parecchie di cose, particolari, nozioni complementari ed ausiliarie, che vanno vissute in modo unitario nella pratica. Occorre ricercare in tutta la pratica, ma è senza dubbio nel lavoro con la Spada che si ha maggiori possibilità di effettuare esperienze e sensazioni.

Per questo, qui dico ai miei allievi di Aikidō, Katori Shintō Ryū e Hōki Ryū di concentrarsi bene nei momenti dei Suburi, soprattutto nel Maki Uchi del Katori Shintō Ryū e nel Men a uno o due tempi dell’ Hōki Ryū. Lì, eseguendo con concentrazione, energia e scioltezza, senza inutili contrazioni eccessive, senza momenti di distrazione per le numerose ripetizioni, è possibile arrivare pian piano alla interiorizzazione del movimento nell’Hara e a trovare l’energia del Profondo.

Ai ragazzi dello Yōseikan Budō un po’ di pazienza, al momento che saremo tutti pronti a riiniziare l’allenamento della tecnica di Spada dello Yōseikan Budō, lo faremo. Cercate il vostro Profondo, per ora, nei movimenti a mani nude.

Dico a tutti di affrontare gli esercizi senza preconcetti, senza idee personali, seguite la tecnica della disciplina, le mie istruzioni e fatevi portare da loro. Ricominciate da zero ogni volta e, allo stesso tempo, cercate di trovare dentro di voi la risposta. Ma chiedete sempre all’istruttore.

È lì per questo…

 

 

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