Un
libro sul Ninjutsu… una recensione…
Da
poco è uscito, nelle edizioni Ubaldini, il libro di Kacem ZOUGHARI: Ninja, gli
antichi guerrieri ombra giapponesi – la storia segreta del ninjutsu.
Ci
vogliono buoni polmoni per pronunciare il titolo tutto d’un fiato!
Questo
libro era stato preceduto da buone valutazioni: l’autore che si dichiara
laureato in Storia delle Arti Marziali Giapponesi presso un prestigioso
istituto parigino, aveva fama di essere uno storico, per cui questo suo lavoro
era considerato un testo autorevole sul Ninjutsu. Di questo autore avevo letto,
negli anni Novanta, alcuni articoli su famosi spadaccini giapponesi scritti per
la rivista francese “Karate Bushidō”, che allora mi parvero interessanti.
La
lettura di questo libro mi ha fatto pesantemente ricredere.
Il
cosiddetto “Ninjutsu” (considerate che, oltretutto, questo nome è moderno) è un
argomento piuttosto “fumoso” su cui sono state propagandate soprattutto
leggende e racconti di fantasia, per cui l’immagine collettiva è generalmente
errata. Di conseguenza un libro “serio ed autorevole” deve procedere con
argomentazioni precise e supportate da altrettanto precisi riferimenti a fonti
e documenti oggettivi.
Proprio
sul piano delle “fonti e documenti” le prime perplessità sul libro. Lo Zoughari
si lascia intendere come conoscitore della lingua giapponese, per cui la sua
bibliografia presenta quasi esclusivamente opere originali in giapponese, cosa
lodevole, ma mi appare di una certa arroganza trascurare i lavori di storici
occidentali come Friday e Farris, e di gruppi di studio della storia delle Koryū
come quelli di Draeger, della Koryū books, e altri. Questa mancanza si vede in
modo netto man mano che si legge il testo.
Inoltre
si ha più volte l’impressione che la conoscenza del giapponese del detto
Zoughari non sia proprio impeccabile: ho trovato degli evidenti errori di
“lettura” su molti punti meno specifici, riguardanti Bujutsu e Kenjutsu, Aikidō,
Daitō Ryū, Jū Jutsu e Jūdō, nonché le cronologie a fine testo, che danno
proprio l’impressione di infelici “trascrizioni” dei testi di riferimento. Se
tanto mi dà tanto, è ovvio che ci devono essere altrettante infelici
interpretazioni anche nelle parti che riguardano cose di cui io non ho miei
dati per raffronto.
L’autore
compie errori molto grossi in diversi argomenti di storia generale del
Giappone, e anche di geografia, fa confusione di date e di eventi nella vita e
nelle opere di diversi personaggi storici, in episodi della storia giapponese.
Insomma,
ci troviamo di fronte ad approssimazione e sciatteria ad iosa.
L’opera
sembra edita per la prima volta, in francese o inglese, nel 2010. Però ignora
praticamente tutti gli studi sulla storia giapponese, ordinaria e marziale,
sulle scuole, che sono usciti in grosso numero nell’ultimo quindicennio,
facilmente disponibili per un ricercatore esperto, sia in inglese o francese,
sia in giapponese. Tutti studi che dimostrano l’inaffidabilità di quanto si sa
qui in Occidente di vari aspetti culturali del Giappone, soprattutto
nell’ambito della storia feudale e delle scuole di Arti Marziali.
Autori
come Yuki, Yokohama e Yamaguchi, che hanno edito opere sul Ninjutsu che
Zoughari cita spesso, alla luce della lettura di questi studi più recenti
appaiono inaffidabili, dato che non hanno saputo usare gli “strumenti dello
storico” a dovere, continuando a propagare, più che i fatti, versioni
romanzate.
In
breve:
- “ninjutsu”
e “ninja” sono letture moderne volgarizzatesi con il contatto con gli
occidentali, come “harakiri”, e “samurai”. Il nome corretto è “shinobi no
mono”, facendo attenzione che “shinobi” non è un sostantivo, piuttosto un
aggettivo o un avverbio, indica una azione fatta in modo furtivo, celato. Per
dire, una trattativa segreta tra due signori feudali per accordi politici è
“shinobi” sebbene i due notabili non abbiano mai, in vita loro, strisciato
ventre a terra, tranne forse quando giocavano da bambini…
- In
Giappone sono sempre esistite le spie nel senso reale e non romanzato del
temine, mas la loro azione era quella di raccogliere informazioni
dissimulandosi tra uomini di un altro signore, e poi fare avere tali
informazioni con piccioni o altro tipo di viaggiatori al proprio referente.
Niente costumi neri, stelle da lancio, o altre invenzioni folkloristiche;
- In
tutti i luoghi del Giappone, nei vari schieramenti, esistevano gruppi di
guerrieri che si specializzavano nell’infiltrazione e in missioni da commando.
Tra chi abitava in zone di montagna ci potevano essere elementi abili nello
scalare muri e valli di castelli, o cacciatori abili a attraversare
discretamente campagne e altri terreni, in zone fluviali o marine abili
nuotatori in grado di compiere un’azione arrivando dall’acqua. Come sempre sono
esistiti in tutti le zone di guerra del mondo. Queste azioni erano chiamate
“shinobi” e questi samurai d’assalto “shinobi no mono”. Uomini regolarmente
inquadrati nelle truppe degli aristocratici, dei daimyō o degli Ikki, usati in
casi particolari. Inoltre alcuni condottieri utilizzarono briganti e/o pirati,
profondi conoscitori di determinati territori che erano scenari di guerra, come
guerriglieri e guastatori dietro le linee nemiche. La ricompensa era quasi
sempre la “grazia” e l’inquadramento tra le truppe regolari del signore a
vittoria ottenuta.
Decade
anche la mistica di Iga e Koga, non più giustificabile nei risultati degli
approfondimenti storici effettuati. Mai state le regioni esclusive dei “shinobi
no mono”, mai state specie di “roccaforti ninja”. Sebbene vicine queste due
regioni sono diverse, una conca montana Iga, una pianura aperta Koga – o,
meglio, esattamente, “Kōka”, la vera lettura corretta – In origine feudidi
aristocratici e poi divenute domini feudali, le due regioni, al momento
dell’anarchia generale successa all’indebolirsi del potere degli Shogun
Ashikaga in seguito alla “Ōnin no Ran”, vale a dire dopo il 1477, si
organizzarono in comunità indipendente, gli “Ikki”, come accadde in moltissime
zone del Giappone. Molti degli abitanti erano “Jizasamurai”, piccoli
proprietari di campagna con uno status che può essere paragonato a quello dei
“milites” medioevali, e si organizzarono per combattere il forte e feroce
banditismo di quei tempi e assicurarsi la sopravvivenza. Si allearono secondo
le convenienze e riuscirono a garantirsi uno status indipendente fino a che Oda
Nobunaga, il cui potere si andava sempre più affermando, attaccò i vari “ikki”
tra cui quelli di Iga e Kōka. Quest’ultima fu sottomessa per prima, poi tocco
ad Iga che capitolò subendo un massacro nel 1581. Dopo questa data non ci sono
più segnalazioni di “fatti shinobi” da parte di gruppi di Iga, checché dicano
varie fonti fantasiose. Riassumiamo e ripetiamo: nessuna “repubblica (o
repubbliche) libere ninja”, nessuna ramificazione storica di scuole segrete,
solo un gruppo “tosto” di guerrieri che riuscì a ritagliarsi un periodo di
estraneità dalle amministrazioni feudali, tra cui, come in altre parti del
Giappone, vi erano guerrieri capaci di effettuare incursioni e simili. Dopo
l’assoggettamento guerrieri di quelle zone vennero impiegati in normali
operazioni militari di truppa, come cavalieri, fanti, moschettieri. Dato che i
due feudi appartenevano direttamente alle famiglie Matsudaira/Tokugawa, reparti
di Iga e Koga erano tra quelli che erano di stanza ad Edo per il normale
servizio di guardia e pattigliamento.
Tutti
i vari episodi citati da Zoughari come “fatti Ninja”, attacchi ai castelli,
infiltrazioni, fughe rocambolesche, sono, spogliati della fantasia e riportati
alla lettera della fonte storica, semplici azioni di guerra convenzionale come
in tutte le guerre di tutti i tempi in tutto il mondo.
Infine
nuoce grandemente ed ulteriormente alla credibilità di questo libro l’adesione
completa dell’autore a tutta la propagandistica di Hatsumi e del cosiddetto
“Togakure Ryu”, dove l’autore si spoglia di quel minimo di uso degli “strumenti
dello storico” per cadere acquiescente a tutto quanto viene propagandato senza
non solo alcun spirito critico, ma neanche tentando di trovare gli eventuali
punti d’appoggio paragonando quanto riportato dalle fonti “Togakure” con i
testi ufficiali riconosciuti. Inoltre l’autore fa per pagine e pagine
propaganda di una ideologia del “Ninja della scuola” che è molto vaga, che in
parte si può trovare come aspetto generico in molte Arti Marziali Kōryu (ma qui
ben più approfondito) del periodo, ideologia tanto generica che può essere adattata
anche nel caso di una interiorizzazione del Pilates.
Alla
fine, il “ninja moderno” reclama un personaggio che non è mai esistito,
proclamandosi “abile nell’inganno” inganna soprattutto se stesso.
Diceva
Minoru Mochizuki shihan “…un ninja
deve sapere imitare il grido degli animali, sin dall’inizio, essi cominciano ad
abbindolare la gente. I ninja mentono, così nessuno può avere fiducia in loro,
loro si nascondono per non essere visti… Il Ninjutsu non forma affatto degli
uomini… un ninja non dirà mai la verità…”.
Che recensione rancorosa! Scontro settario poco utile per chi non condivide questa modalità di "confronto". Il libro di Zoughari è viceversa una lettura eccellente per ogni appassionato di arti marziali, in particolare giapponesi, ed è il frutto di una competenza sul campo più unica che rara.
RispondiEliminaL'imprecisione di Zoughari nel riferire fatti e fonti in questo testo è piuttosto evidente. Già lo aveva fatto negli anni '80 in una serie di articoli sul Kenjutsu, dove descriveva in modo disinvolto e più che romanzato vari fatti di varie scuole sulla scomparsa rivista francese "Bushido".
RispondiEliminaTutto il materiale "Togakure" non è mai stato certificato da nessuno storico o istituto ufficiale. Similmente il suo contenuto tecnico, già contestato da molti esperti di Arti Marziali storiche (queste accertate e riconosciute).
Il Ninjutsu pare in gran parte una romanzata invenzione dei romanzieri e cantastorie del periodo Edo - costume nero incluso - che una vera realtà. Sia Hattori che Sasuke, per fare un esempio, erano regolari "Bushi" al servizio dei loro signori feudali.
Le Arti Marziali storiche, non quelle moderne, sono un argomento ben poco conosciuto, e Zoughari, come autore, non fa affatto la figura di averne una sufficiente conoscenza.
Poi, ovviamente, ognuno può credere alle sue fantasie, o sperare che siano vere. Io, per esempio, ho una passione per i draghi del "Trono di Spade", ma sono conscio che siano una piacevole invenzione letteraria, e solo quella purtroppo...