Mondō: colloquio tra maestro ed allievi (4)

“Mondō” ( 問答   – letteralmente “domanda e soluzione” ) è un termine buddhista che definisce una conversazione “domanda-risposta” tra maestro ed allievo. Ci può essere un argomento proposto o far riferimento a lezioni passate, o no. La domanda può essere “guidata” dal maestro o no. Il fatto che l’allievo ponga una domanda è segno di una conquista che lo stesso ha fatto sull’argomento. La domanda può avere una risposta verbale o di diverso tipo. 

CONCETTI E PAROLE

La magia dei Nomi e dei Significati


Da tempo cerco di condurre una battaglia di informazione culturale con lo scopo di dare il maggior valore possibile alla ricchezza immensa contenuta dentro le Dottrine Tradizionali con particolare enfasi su certi campi. Nel caso di queste pagine è la “Cultura del Guerriero d’Oriente e d’Occidente” che ha l’attenzione primaria.

Prima voglio ritornare sul concetto di “Riai”, di cui avevo condiviso un interessante articolo tempo fa sulla pagina Kkienn Budo Club di Facebook (Febbraio 2017 – potete trovarlo con la funzione “Cerca” digitando "Riai"), perché è importante e ci sono dei concetti assolutamente fondamentali che cerco di far comprendere ai miei allievi e a quanti leggono i miei interventi culturali.

Ricordo che “Riai” significa “Incontrare il Principio”, vale a dire riuscire a scoprire l’istruzione che si trova all’interno della tecnica, che spesso può sembrare slegata dall’apparenza fisica della tecnica stessa.

È importante che voi, miei lettori, vi ficchiate bene in testa questo:

-      Trovare il Riai (o “i” Riai) è un’azione fondamentale e assolutamente indispensabile, altrimenti state solo “leggendo il fatterello” e vi fermate alla superfice della tecnica, del gesto, e non sarete mai in grado di “farlo”, applicarlo, se non grazie a fortuna e caso;

-      L’azione di ricerca è già in sé un valore, anche se c’è molta strada prima di raggiungere il principio. Nel percorso troverete variazioni e idee che potranno anche sviarvi, ma che comunque, nel loro labirintico gioco, se continuerete a cercare e non seguirete le “sirene”, piano piano vi porteranno verso la conoscenza “vera”;

-      Senza il Riai la tecnica non raggiunge la sua piena ed oggettiva efficacia. Dato che la stragrandissimissima massa delle persone non si avvicina neanche lontanamente a questo, si capisce perché si sentano le asinate da parte di questi “minus abens” sul fatto che certe tecniche e certe discipline non funzionano… Eccerto, gente che “non sa fare” e gente che “non sa vedere”… Un bellissimo abbinamento! Poi nascono le tecniche “muscolari”, con cui dei tapinelli cercano di superare con la forza bruta (doti fisiche estremizzate attraverso allenamenti ginnasiarchi) le resistenze. Non c’è bisogno di studiare per arrivare a questo, basta mettersi ad incrozzarsi a sollevare questo e quel peso (che è una scorciatoia perché più facile e con minori responsabilità da parte dell’istruttore e ancor minore bisogno di “studiare” veramente).

-      La lezione indiscriminata del principiante ovviamente non può essere orientata a questo, anche perché la comprensione del gesto fisico è la prima conoscenza necessaria, che nelle discipline orientali viene raggiunta attraverso le ripetizioni, le variazioni della situazione (che già è un primo input al superamento dell’apparenza), il raggiungimento del “corpo” della disciplina. Però, passato lo stadio del “principiantato”, l’allievo è obbligato a sdoganarsi dal semplice stato di “utente ebete” che si “fa addosso” le tecniche per divertimento o rilassamento, o per fini estetici, o per il raggiungimento di meri risultati egoistici di gratificazione personale. Deve pretendere di più da sé stesso, e poi potrà richiedere di più all’istruttore. Altrimenti l’istruttore dovrebbe dividere il corso in “adepti e potenziali adepti” da un lato, e “ricreativi edonisti ignoranti” dall’altro.

“Riai” introduce, prima che ai “principi interni”, a quelli esterni.

Uno di questi è talmente fondamentale che pochissimi lo conoscono e ancor meno lo usano, pur essendo indispensabile alla riuscita…

Oppure restringono il suo uso ad un campo parziale del tutto...

Tale principio “esterno” (ma che poi si addentra trasversalmente verso le profondità della tecnica fino ad arrivare al Vuoto nocciolo del Tutto) è “Kuzushi”, lo squilibrio.

I superficiali pensano che lo squilibrio interessi solo l’ambiente “lotta in piedi”, gli ignoranti non lo considerano quando cercano di effettuare proiezioni e leve in un contesto di Atemi/Colpi/Striking, i ginnasiarchi non lo attuano quando devono attaccare, difendersi contrattaccare sia sempre con i loro “terribili” colpi, sia con proiezioni dove impiegano esclusivamente forza da powerlifthing.

E non prendo neppure in considerazione l’ampio campo del combattimento armato o misto, dove chanbaristi ed olimpici vanno a cercare solo l’altra espressione di “forza maleducata” basata solo sul suprematismo atletico.

E il Kuzushi è solo un esempio semplice per tutti. Ovviamente ci sono ramificazioni, coinvolgimenti e altre cose, ma sono altri discorsi, basti che si intuisca solo il meccanismo e ci si metta in uno stato d’animo di disponibilità a ricercare e comprendere.

Evitare di continuare ad essere, dopo i primi tempi, uno che si fa “versare la tecnica addosso”, ma diventare capace di “afferrarla” e farla propria, pezzo a pezzo.

Veri crogioli di “Riai” sono i Kata, soprattutto quelli antichi. Ed è duro vedere tanti “Giovani turchi” estremamente ignoranti straparlare nella loro crassezza di “tecniche sorpassate”, di “movimenti irreali” e di “fantasie folkloristiche”.

Quanta compiaciuta ignoranza!

Per il secondo punto voglio proprio parlare della scherma con le armi, concentrandomi sull’arma più importante e simbolica, che è la spada. E, ovviamente, facendo riferimento sulla Katana/Tachi giapponese.

Ci sono diversi sistemi di apprendimento e confronto, storici e più recenti, in Giappone.

Per avvicinarsi alla disciplina, occorre innanzitutto fare pulizia nel proprio bagaglio di informazioni e relegare le proprie suggestioni visive, l’immaginazione, ad un ruolo marginale, occorre rendersi pienamente conto che si tratta di espressioni fantastiche che, casi rarissimi a parte di registi e maestri d’arme particolarmente coscienziosi e tecnici, non hanno alcun legame con la tecnica, la strategia e tattica reale.

Ci si renderà conto, in seguito, che la realtà, poi supera di molto la fantasia. In modo diverso.

I sistemi di studio della scherma orientale (e assai simile era la scherma storica occidentale) comprendono diverse modalità:

-      Kumikata;

-      Gekiken;

-      Kendō antico;

-      Kendō moderno;

-      Chanbara e simili.

Do una veloce spiegazione di queste singole voci perché non tutti conoscono queste interpretazioni.

Il Kumikata è la pratica più antica, sono Kata a coppie che affrontano situazioni di combattimento in varie maniere, con sequenze continue o di serie di scambi singoli (attacco/risposta) intervallati da fasi di Zanshin.

Questo sistema prevede una interpretazione delle sequenze secondo la crescita della capacità degli studenti fino ad arrivare ad interpretazioni molto vicine al combattimento libero.

Il Gekiken è la prima forma di combattimento con protezioni simile alle tirate in sala o sul campo della scherma occidentale. Iniziò a diffondersi veramente all’inizio dell’Ottocento. Usando varie forme di attrezzature di protezione, che cambiavano da scuola a scuola, e regole anche qui diverse, affiancò la pratica tradizionale col Bokken di Kihon e Kata. Non tutte le scuole lo adottarono (quelle che vengono praticate nella nostra associazione, Katayama Ryū, Hōki Ryū e Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū, furono tra quelle che l’avversarono e lo proibirono per i loro studenti). Questo sistema, che usava protezioni simili a quelle del Kendō attuale, più altre, prevedeva attacchi a più zone del corpo, l’uso di tecniche di corpo a corpo, atemi.

Tutt’oggi alcune scuole di Kenjutsu classico hanno il Gekkiken tra le loro materie di studio. Per esempio il Tennen Rishin Ryū e l’Hokushin Ittō Ryū, usano anche attacchi montanti, colpi ad altre zone delle braccia, alle gambe, corpo a corpo.

Il Kendō antico costituisce un primo sistema di tipo oggettivo, con un regolamento unico comune per tutte le scuole. Oltre i bersagli che sono ancora quelli usati oggi: Men, Kote, Dō, Nodo (Tsuki), erano previsti atemi, proiezioni, strangolamenti e lotta a terra.

Il Kendō moderno, con le regole stabilite nel dopoguerra, è quello conosciuto e praticato in tutto il mondo. I bersagli sono “colpi simbolo” che riassumono tutte le possibilità. La pratica, estremamente ordinata, sviluppa le doti mentali ed energetiche. Il sistema dei combattimenti, regolamentata in modo estremamente rigido per conservare i valori della Spada, è molto interessante e tecnicamente valido.

Chanbara e simili: si tratta di un sistema moderno che usa dei bastoni di varia lunghezza (dalla lancia al pugnale) fatti di gommapiuma oppure tipo palloncini ad aria compressa. I bastoni sono morbidi, estremamente leggeri e flessibili. I bersagli sono estesi a pressoché tutto il corpo. In teoria sarebbe prevista una formazione tecnica, in pratica tutto si restringe alla gara dove qualsiasi strambo movimento è ammesso pur di toccare per primo l’altro. Essendo appunto indispensabile questa priorità nel tocco, si cura di arrivare a colpire per ma non di come arrivare, né di come essere coperti dopo l’eventuale tocco. Simile ad una gara di muffa con le protesi, il Chanbara non è che un giochetto sportivo per far divertire.

È chiaro che è indispensabile, per poter accedere alla tecnica reale e ai suoi benefici, che occorre avvicinarsi ad una scuola seria di Kenjutsu e/o di Kendō, e allenarsi con coscienza con un buon istruttore. Il Gekiken può essere interessante all’interno di una scuola tradizionale che lo preveda e lo faccia praticare con attenzione per la tecnica e senza alcuna idea di gioco.

È altresì chiaro che Chanbara o simili sono solo tempo perso. Anzi assolutamente antieducativi.

[per una informazione sul Gekiken vedere l’articolo “Historical Way of Gekiken” di Jack Chen sulla pagina Facebook “Kenjutsu Iaido Sicilia” del 11/03/2018 – anche qui usate la funzione “Cerca” scrivendo Jack Chen]

 La “non-educazione” del Chanbara

Con “Chanbara” si identificano originalmente i film di “Cappa & Spada” giapponesi, basati su racconti o avventure di Samurai.

Dato che, salvo un percentuale minoritaria di film, le tecniche di combattimento sono di fantasia e mostrando una tecnica irreale, nel modo del Kenjutsu e Kendō giapponese si usa definire con “Chanbara” tecniche o kata, combattimenti ed altro fatti con molto entusiasmo, coreografia, ma assolutamente nessuna aderenza alla realtà e alla struttura delle armi, ai principi della Scherma.

In seguito un tizio, Tetsundo Tanabe, un ex-maestro di Kendō, nel 1970 ha inventato un tipo di sport che scimmiotta i film di Samurai effettuando gare con armi di gomma. Si tratta di   incontri al punto, dove ovviamente non c’è alcuna idea di tecnica effettiva. Lo stesso creatore afferma in più riprese che si tratta di un un gioco-sport, che vuole assolutamente evitare il rigore e a precisione tecnica del Kendō, le molte norme per l’assegnazione del colpo valido, norme che vogliono fare in modo che la tecnica con lo Shinai si avvicini il più possibile a quella ottenibile con una spada reale.

Assurdamente e ossimoro-amente chiamato “lo sport dei Samurai” da qualche “bella gioia”, si è diffuso qua e là nel mondo, come capita a tante altre fesserie. Ha l’attrattiva e la profondità della “muffa quaranta” e, ovviamente, come tante altre stupidaggini trova spazio presso chiunque cerchi cose semplici e poco impegnative.

 

Ovvio che lo Yōseikan Budō doveva assolutamente tenersi lontano da tale esempio, considerato il fatto che c’era anche l’imbarazzante fatto della somiglianza delle attrezzature. Quando se ne iniziò a parlare all’interno della Scuola, tutti stigmatizzavano l’assoluta mancanza di tecnica del Chambara ed esprimevano la necessità di evitare di finire così. È stato ormai appurato che l’attrezzatura (nonché regole e sistema d’arbitraggio) delle gare d’arma dello Yōseikan Budō sono inadatte al raggiungimento e all’espressione di una buona tecnica schermistica (oltre che ad essere assai care). Già esistono diverse opzioni per migliorare l’attrezzatura, però lo struzzo ha infilato la testa nella sabbia e non vuol vedere.

Intanto ci sono queste gare semplicemente deteriori per lo sviluppo di un Budōka, diseducative, fatte semplicemente per “far divertire” infantilmente le masse…

Altro che Musashi. Penso assicutererebbe tutti a bokkenate!

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