Kenjutsu e Iai
Le Arti della Spada in Europa e in Italia, ieri ed oggi
Le scuole
classiche di Arti Marziali antiche giapponesi trovano da qualche tempo in
Europa, e nel resto del mondo, l’attenzione di gruppi di appassionati attenti e
ben disposti. Si definiscono “scuole classiche” tutte quelle Arti Marziali
fondate prima della restaurazione Meiji (1868) e destinate all’addestramento
del Samurai per i suoi compiti di classe sociale, l’uso delle armi e in primis
della spada.
Queste
scuole vengono chiamate “Koryū” in giapponese e la maggiore attenzione è
appunto per la scherma con la spada, che si divide in due specialità: la
scherma a lama snudata o Kenjutsu e lo Iai, la scherma di estrazione della
spada.
L’arrivo
di queste Koryū in Occidente è avvenuto con una certa progressività. Negli anni
’60 primi sprazzi della tecnica di Kenjutsu sono dapprima trapelati attraverso
alcune scuole di Jū Jutsu come lo Yōseikan Budō, o di Aikidō, dove era prevista
anche la tecnica di spada, ma non tutti i maestri di quelle stesse scuole la insegnavano.
Il Kendō, la scherma con l’armatura di protezione e la spada di bambù, sembrava
ai più racchiudere tutta l’eredità della pratica di spada, ma aveva difficoltà
di diffusione dato il materiale necessario e il suo costo. Gli appassionati
guardavano con interesse anche una disciplina parallela, lo Iai, l’arte di
sguainare, ma qui era ancora più difficile procurarsi la spada-replica di buona
qualità che serviva per la pratica. Inoltre i maestri erano rari.
Così,
nella seconda metà degli anni Settanta circolavano delle informazioni, poche in
verità, degli accenni a maestri mitici che insegnavano in piccoli Dōjō nascosti
in località poco accessibili delle città e delle campagne del Giappone. Che lì
si facevano particolari Arti Marziali, che non erano Jūdō, Karate, Aikidō,
neanche il Kendō, dove c’erano potenti scambi di colpi con armi replicate nel
legno, dove il Samurai dei film di Kurosawa e dei e libri sembrava una presenza
reale. C’era curiosità, voglia di sapere, un fascino che attirava chi voleva di
più. Alcuni viaggiarono in Giappone per bussare alle porte di quei Dōjō, viceversa
dei maestri giapponesi vennero in Europa, per mostrare un Budō puro, non
contaminato dalla ricerca della competizione.
Il
Budō! Un termine, un concetto ancora poco compreso, un insieme di principi che
ancora è ostico alla maggioranza degli occidentali. Certo, è un argomento
difficile, anche perché ne sono state pubblicate molte letture erronee, dal
lontano libro “Bushidō” di Nitobe del 1900 in poi, una moltitudine di articoli
e altre pubblicazioni, film e telefilm, da ieri ad oggi, che esprimevano interpretazioni
di fantasia o diffamazione. Non facile definire il Budō, forse non è possibile in
modo preciso ed univoco: nello scenario combattivo del Giappone, fin dai suoi
primi tempi statisti, poeti, filosofi e guerrieri stessi hanno cercato un
significato del ruolo dell’uomo in armi, il guerriero (Bu 武), che
non si limitasse alla professionalità del conflitto. Confucianesimo,
shintōismo, buddismo, animismo, taoismo ed altro, nello spirito sincretico di
quel popolo, formano una idea di codice di identità e comportamento con varie
sfumature che proprio nell’arma, lancia e spada, trovano il nucleo simbolico.
La
lancia di Izanagi, la spada di Susano-o e di Futsu-nushi in Giappone, così come
la lancia di Odino e di Lug, la spada di Nuada, di Artù, di Sigfrido ed Orlando
in Occidente, sono i simboli dell’asse cosmico e della giustizia. Bujutsu e
Budō sono due sfere interagenti, e, per capire, noi occidentali dobbiamo
ricordare e comparare con le epiche europee, con gli scritti come il “De laude novae militiae ad Milites
Templi” di Bernardo di Chiaravalle, e magari anche con i trattati come il “Flos
Duellatorum”.
Curiosità e voglia di conoscere, eccoè il
fascino delle Arti Marziali “antiche”, dette Koryū Bujutsu”. Così, dall’opera
su due fronti degli europei in Giappone e dei maestri giapponesi in visita in
Europa, si produsse, negli anni Ottanta, il sorgere delle scuole di Kenjtsu e
Iai in Occidente.
Ed è stato un incedere piuttosto maestoso: per
il Bujutsu e Kenjutsu, prendiamo l’Italia come esempio, si sono aperte scuole
di Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū, Ittō Ryū, Yagyū Shinkage Ryū, Niten Ichi
Ryū, Yōshin Ryū, Katayama Ryū e altre; per lo Iai, invece, Musō Shinden Ryū,
Musō Jikiden Eishin Ryū, Hōki Ryū, Sekiguchi Ryū e altre.
Rispetto alla media dei corsi di Arti Marziali
moderne, il sistema delle discipline antiche è molto più vasto e la pratica necessita
di integrazioni di cultura: storia, religione, folklore, filosofia, scienza
delle armi. In caso contrario una consistente parte viene persa e con questa perdita
vengono a mancare molti interessanti effetti.
Iniziare
a frequentare una di queste scuole è già una cosa diversa rispetto quello delle
altre Arti Marziali moderne perché non sono conosciute dal pubblico, sia nel
nome che nel contenuto, di conseguenza vengono avvicinate solo:
- da
persone che già praticano un’Arte Marziale e lì hanno sentito parlare di queste
discipline che precedono la loro e le hanno influenzate (fatto che accade più facilmente
nell’ambiente del Kendō);
- da chi
fa una ricerca su pubblicazioni o magari su internet;
- da chi
ha amici che già le praticano;
- grazie
un incontro fortuito, una casuale occasione.
Si
rinnova così, almeno in parte, la tradizione della ricerca che l’aspirante
allievo deve fare per riuscire ad accedere alla giusta disciplina.
Le
scuole di Kenjutsu poche volte si limitano all’insegnamento della sola spada,
anche se è l’arma regina: praticano anche altre armi tradizionali; le scuole di
Iai invece esclusivamente la spada, a volte anche la spada corta o il pugnale.
Alcune scuole particolari come il Tenshin
Shōden Katori Shintō Ryū o il Katayama Ryū hanno anche un ampio repertorio di
tecniche a mani nude, ma si tratta di un argomento che viene affrontato solo
dopo un certo periodo di tempo di pratica della spada e, inoltre, queste non
sono informazioni che vengono date a chi si avvicina chiedendo i primi ragguagli.
L’aspetto “difesa personale”, una delle cose generalmente più richieste dagli
aspiranti novizi, non può essere soddisfatto. È un secondo momento di
scrematura dei postulanti. Poi, dato che queste scuole non prevedono gare per
soddisfare il periodo egotico della gioventù, che spesso si prolunga in una
mancanza di crescita del sé, questo è il terzo ostacolo che fa selezione.
Su quest’ultimo punto facciamo una parentesi: esiste
il senso del duello e dello scontro, ma è un punto che riguarda più che altro
il confronto come test di sé stessi, più che quello di vincere un altro, e
viene effettuato attraverso esercizi combattivi con modalità differenti da
scuola a scuola, solo quando si è in possesso di una tecnica completa e
progredita.
Tornando
all’accesso alla scuola classica, come si vede è riservato così solo a chi è
veramente interessato alla pratica e accetta di farla secondo la tradizione. Inoltre,
la didattica di base delle Koryū è formulata in modo fare una ulteriore scrematura
dei praticanti. Chi crede ancora in duelli cinematografici e rutilanti azioni
viene scoraggiato dalla pratica iniziale fatta di centinaia di ripetizioni di
posizioni statiche e migliaia di tagli base.
Le
Koryū cercano allievi consci di quello che vogliono intraprendere e motivati,
disposti a seguire senza discussioni le linee didattiche della scuola e che
abbiano la volontà di impegnarsi.
La
didattica delle Koryū è fissata da molto tempo. È un cammino perfetto, ben
tracciato e con degli strumenti precisi ed efficaci per raggiungere i fini
desiderati; chi pratica con interesse, passione e maturità non può non
accorgersi della meccanica da orologio di precisione, semplice ma ben ramificata,
che abbraccia ogni possibile variazione, rendendola naturale e immediata. Questa
didattica si basa su osservazioni che provengono in parte dalla esperienza
pragmatica collaudata prima dal fondatore sul campo di battaglia e dalle generazioni
di insegnanti successori poi, l’aspetto mentale è assicurato dai collaudati sistemi
delle scuole buddiste e confuciane e dalla loro visione. Nella scuola classica
non c’è neppure la solita ricerca dell’elemento dotato su cui puntare per il
prestigio di successi in gara. È vero, il maestro può essere soddisfatto delle
individualità più notevoli – e lo sarà sicuramente – ma la cosa più importante
è la qualità media della classe, l’assorbimento dei dettami e che i più anziani
di pratica e i più versati si adoperino senza sosta di far progredire i più
giovani e chiunque abbia bisogno di più tempo per apprendere.
Le
Arti Marziali classiche fanno parte del grande patrimonio accumulato
dall’umanità nei secoli. Come tutte le opere d’arte spiegano il Mondo e anche
noi stessi. Un patrimonio che spesso, colpevolmente, trascuriamo per stordirci
con immagini, suoni, parole, oggetti e profumi solo assordanti, luccicanti,
iperstimolanti senza alcuna cosa di veramente costruttivo e valido dietro,
scollati dal passato e senza futuro.
Alla
schiera dei grandi artisti possono essere aggiunti, a pieno merito, tutti coloro
che diedero vita alle scuole di Arti Marziali, perché hanno creato delle
architetture di grande valore, dove biomeccanica, antropologia, filosofia,
studio del gesto e dei sentimenti sono state riunite e composte per dare
occasioni e risposte all’Uomo e ai suoi problemi sulla Terra.
Per
questo imparare una scuola di Kenjutsu o Iai porta grande benefici di
riequilibrio del corpo grazie alle azioni veloci con piccoli sovraccarichi, che
impegnano le catene biomeccaniche diagonali e longitudinali dalla punta del
piede all’estremità delle dita, grazie al lavoro di respirazione addominale che
irrobustisce questa zona del corpo così importante per la salute psicofisica e
la motricità generale. La pratica è un raffinato gioco di movimenti che
trasporta la logica degli scacchi sul piano del combattimento armato. Così si
impara a centrarsi in sé stessi, ad allineare correttamente il corpo, si
irrobustiscono i muscoli senza ipertrofizzarli, si mantengono efficienti le
articolazioni, si impara a sentire le proprie energie e a disciplinarle. Si
diventa più sensibili verso gli altri e si impara a riconoscere le insorgenze
dei conflitti e a cercare di disinnescarli.
Pur
nella riservatezza e nella selezione che abbiamo già descritto, la pratica dei
Koryū è oggi molto apprezzata da un largo pubblico di esigenti praticanti. Si
va oltre la scherma occidentale sportiva, troppo stuprata appunto dalla
impostazione agonistica e dal fine principale della partecipazione alla gara. L’indubbio
successo delle Koryū dimostra ancora una volta che l’attività fisica può e deve
essere distinta dalla gara e dalla competitività esagerata, che la trasforma in
un generatore di stress per il corpo e la mente.
Queste
scuole antiche sono indubbiamente “vive”, anche nella loro pratica di armi e
sistemi di una volta, e sono sempre più attive: all’interessamento degli
occidentali è corrisposto una rinnovata attenzione di molti giovani giapponesi,
attirati dal loro passato storico e fieri di esso. Inoltre, si era mantenuta,
all’interno delle famiglie, l’idea di proseguire quella pratica che aveva visto
impegnato il padre, la madre, gli zii o i nonni.
Con
questo, il futuro delle discipline tradizionali pare assicurato: molte persone
vengono da varie località del Giappone, insieme a visitatori da tutto il mondo,
per vedere le demo ai grandi festival delle comunità e dei santuari Shintō dove
le scuole, per secolare usanza, si mostrano al pubblico. Il governo giapponese
si è impegnato in una catalogazione di queste Arti Marziali storiche tra i beni
culturali inalienabili della nazione.
Usciti
dalla ricerca dell’auto appagamento agonistico e dalla insicurezza di sé che
reclama la difesa a tutti i costi, il fiume delle scuole tradizionali continua
a scorrere.
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