Kata, Filologia, e gli Scritti criptati
Questo intervento-studio lo considero, almeno per me, importante.
Espongo alcuni dati “estratti” dallo studio, che è un “doppio”, un insieme
di due fattori in vari equilibri come ci insegna il Taoismo e l’Alchimia.
Queste due parti sono, da una parte la pratica, a sua volta divisa in due
“maniere”, dall’altra lo studio a tavolino. La prima parte, quella “sul Tatami”,
mi vede impegnato in due diversi atteggiamenti: uno, lo studio “puro” e
separato di ogni Arte Marziale che pratico, due, l’adempimento dei principi
della scuola Yōseikan in cui, nell’insieme corpo/mente/spirito, le discipline
in blocco vengono montate in un unico, coeso, armonico, meccanismo funzionante,
influenzandosi e “spiegandosi” a vicenda.
Primo punto, come ho scritto anche altre volte e voglio ripetere e ripetere
ancora, io penso/seguo ad una linea di studio (che cerco di attuare) che chiamo
“Filologia dell’Arte Marziale”. Con questo termine indico lo studio, fatto sui
testi e sulle tecniche, l’indagine sugli influssi culturali - e quelli “del
campo di battaglia” - che hanno determinato il “linguaggio” delle Arti Marziali
– in questo caso giapponesi – in generale e nel particolare di ogni singola
scuola. Si cerca di ricostruire le linee di interscambio tra i vari maestri
caposcuola e i loro continuatori, d’individuare la cronologia di ideazione di
Kata e singole tecniche, le modifiche che possono essere state effettuate nel
tempo.
La mia è un’idea propositiva e una piattaforma di studio su cui mi cimento,
ben conscio dei miei limiti logistici, di accesso alle fonti e di capacità
personali. Sono però sicuro che un simile lavoro è possibile e che, facendolo,
provando e riprovando, è possibile trovare pian piano strumenti e risultati.
Facciamo un esempio. Sappiamo che la disciplina chiamata Iai o Battō,
sguainare e colpire istantaneamente con la spada, ha un’origine molto più
antica rispetto a quando è generalmente creduto. Colui che è considerato l’ideatore,
Hayashizaki Jinsuke visse tra la seconda metà del XVI e la prima metà del XVII.
Ma, come altri studiosi hanno ipotizzato, l’origine di questa tattica è più
antica, almeno due – tre secoli prima. La necessità di sguainare la spada
contro un attacco improvviso e non dichiarato in tempo di pace, oppure doverlo
fare per l’arrivo improvviso di un avversario in una fase estranea alla
battaglia vera e propria, o la necessità di passare da un’arma da lancio, come
l’arco, o più lunga, come la lancia o l’alabarda, alla spada, avveniva con
frequenza già in tempi antichi, spingendo il guerriero a sistematizzare le
azioni possibili e più efficaci.
Ora, considerando, per esempio, i Kata delle scuole di Katori e Kashima del
XV secolo, riflettiamo sugli elementi a disposizione. La montatura della spada
sul campo di battaglia era quella conosciuta come “Tachi”, con la spada appesa
alla cinta col taglio verso il basso per mezzo di due catenelle. In tempo di
pace, senza armatura, quale era, invece, la montatura adottata? L’Uchigatana
(spada portata inserita nella cintura con il taglio in su) è un sistema che
iniziò a diffondersi durante il periodo Muromachi, ma fu solo nell’ultima parte
del XVI secolo che divenne comune. Di conseguenza, nel XV secolo la condizione
di possedere la montatura tipo Tachi doveva essere la più usuale. Considerate
inoltre che non è possibile né infilare una Tachi in una cintura, né,
viceversa, appendere una Uchigatana al fianco.
Per estrarre il Tachi in modo veloce, è necessario prendere il fodero
vicino l’elsa, avvicinare con la mano sinistra l’arma alla mano destra e poi riportare
il fodero indietro, nel mentre la destra fa presa sull’elsa e sfodera la spada.
Si vede bene che questa azione, in queste condizioni, favorisce primi tagli
montanti ed orizzontali. Se si esaminano i Kata di Iai delle scuole suddette –
adesso eseguite con la spada in montatura Uchigatana - si nota come si adattino
abbastanza bene a questa ipotesi che ho visualizzato.
Chiaramente, negli anni la tecnica si è adattata ai cambiamenti di ambiente
e costume, caratteristica propria di quelle tecniche-capolavoro elaborate dai
Fondatori. Ma, nella struttura, è ben visibile la stratigrafia generale e le
possibilità che il movimento originario fosse diverso.
Punto secondo.
Torniamo sui Kata.
Riassumo cose già dette in altri articoli. Il Kata è uno strumento
ottimizzato, un sistema di conoscenza con diversi livelli di lettura.
L’osservatore ignorante spesso si fa condizionare dagli aspetti visivi
dell’esercizio, soprattutto guardando dall’esterno, per cui non ha possibilità
– soprattutto perché non ha la cultura e conoscenza sufficienti per farlo (in
sostanza è un’ignorante ma non ha la capacità di riconoscerlo, e questo è un
secondo fattore di ignoranza aggravata) – di comprendere cosa si sta effettivamente
mostrando e proponendo, e senza tentare di capire emette un superficiale ed
ebete giudizio negativo, o una pedissequa replica.
C’è anche l’esecutore ignorante, un praticante che non riesce ad accedere
alla lettura di ciò che fa.
C’è anche la colpa di istruttori superficialmente formati che non hanno
compreso quello che fanno ed insegnano, o non gli riesce fisicamente. Invece di
comprendere le abilità superiori che il Kata gli vuole insegnare, che
richiedono una trasformazione di sé stesso e il raggiungimento di uno “status”
superiore al precedente, l’esecutore o l’istruttore ignorante decide che la sua
incapacità è colpa dell’esercizio, non sua, e rifiuta la trasformazione
alchemica per la paura di lasciare ciò che crede di saper fare.
Questa ignoranza è molto diffusa negli ambienti ad impronta
sportiva-agonistica, dove viene propagandata una pratica “quantitativa” invece di
quella qualitativa.
Ora, qui non voglio tornare né sulla ricerca dei “Principi” nelle tecniche
singole e nelle sequenze, né sugli “strati”, né sul discorso Kata Singolo/Kata
a coppie (o “vero” Kata). Ci sono già degli articoli e mi riservo casomai di
ripubblicarli sul mio blog “Il Filo del Pensiero” [1]. Si tratta di un discorso
di apprendimento: noi ereditiamo una grande mole di conoscenze da chi ci ha
preceduto, aggiungiamo le nostre e le diamo in eredità ai nostri discendenti. È
un concetto che, per rimanere nell’ambito delle Arti Marziali, i Maestri
caposcuola e i loro principali esponenti hanno sempre ripetuto [2]. Se si
guardano gli studi di chi si occupa di rimettere in luce il nostro passato (archeologi,
storici, archivisti, paleontologhi, filologi), si vede bene come sia importante
ricostruire i modi di vita, di pensare, le abilità, i rapporti sociali ed
economici, le religioni e la conoscenza. E come vuole l’idea dei corsi e
ricorsi, per stupidità o eventi distruttivi, si vede bene quanto sapere è stato
perduto, sapere utile importante, e quanto sia bello quando si riesce a
riscoprirne una parte, e progredire nelle nostre conoscenze. E come questo
progresso sia interessante, importante, formativo anche oggi.
Di conseguenza, la ricezione di istruzioni e spiegazioni che riguardano il
materiale che abbiamo a disposizione è una ricchezza inestimabile. È vero che
tali istruzioni seguono un procedimento iniziatico, ma occorre dire che tale
iniziazione è una precauzione più che legittima e doverosa, la conoscenza non è
un potere che può essere lasciato accessibile in modo indiscriminato, deve
essere raggiunta attraverso un processo cognitivo faticoso, individuale e/o
collettivo. Nel campo del Kata, le conoscenze sono distribuite su successivi
gradini, che l’istruttore sapiente e responsabile comunica al momento giusto
all’allievo, o, meglio, guida lo stesso all’autoscoperta attraverso
l’esperienza progressiva. Il problema è, ripetiamo, c’è o non c’è questa
conoscenza? Purtroppo è una dote rara, e, come si vede, chi non sa, invece di
cercare di sapere o fare riferimento a chi sa, per non mostrare la sua insipienza
mistifica la conoscenza, la ridicolizza – la antica fiaba della Volpe e
dell’Uva – perché teme di perdere potere.
Basta, andiamo avanti…
La Materia dei Kata storici è un punto molto importante, credo bene che la
verità delle Arti Marziali dipenda da questo, avere la profondità abissale che
in realtà hanno, o diventare una pozzanghera melmosa di cose inventate - d’ora
in poi – come vorrebbero gli scientisti?
Consideriamo un altro punto di studio nella indagine sui Kata storici, che
serve anche come strumento di decrittazione anche dei Kata più moderni. Va
fatta una premessa: molte cose sono state perse anche in questi ultimi decenni,
e diverse informazioni sono state, appunto, mistificate da diversi cosiddetti
“divulgatori” in modo da poter diffondere la versione più semplice e gestibile
nei confronti delle masse. Parlo del Jūdō, di varie scuole di Karate, dello
Yōseikan Budō [3] e anche di alcune correnti di Kendō.
Veniamo a noi. C’è una cosa che non molti sanno, o se lo sanno non
collegano: in tutte le scuole i fondatori e i loro successori scrivevano dei
documenti di istruzione/spiegazione che si interfacciavano con i Kata della
stessa scuola. Gli scritti avevano un ampio ventaglio di modalità di redazione,
nelle scuole storiche erano destinati esclusivamente ai capiscuola da detentore
a successore, in alcuni casi degli estratti venivano consegnati agli allievi
più bravi, che raggiungevano la completezza dell’insegnamento [4]. Nelle scuole
moderne queste istruzioni sono più oggettive e disponibili, ma con vari gradi e
crittografie.
Comunque venissero scritti, anche apparentemente discorsivi o astrusi, i
documenti davano delle istruzioni di lettura dei passaggi dei Kata e degli
scopi da raggiungere progressivamente.
Torniamo all’articolo ispiratore. Lo scrittore, praticante avanzato di una
scuola classica e con una ottima cultura teorica e pratica delle sue varie
correnti, dice che esiste un nucleo didattico delle forme originariamente
composte dal fondatore, e che, in alcuni passaggi incrociati dello scritto
“segreto” composto dallo stesso fondatore, sono presenti – non esplicite, ma
riconoscibili da chi sa leggerle – le istruzioni precise sulle varie “cadenze”
da utilizzare per ogni singola “figura”, lo stato mentale, le cose da
riconoscere nella “Spada” (insieme tecnico, biomeccanico e mentale)
dell’avversario e come trovare ed applicare il modo migliore di contrastarlo.
Mi rendo perfettamente conto che molti dei lettori possono non capire cosa
significa, ma altri si, e spero che ci riflettano.
Siamo troppo fermi e bloccati sull’apparenza visiva di quello che avviene,
o “fissati” sull’apparente concetto vinco/perdo. E’ ovvio che c’è una “musica”
nella tecnica, e lo spartito è nascosto “in piena vista”…
Oltre le Spade, affilate tastiere e archetti, guerrieri!
[1] un esempio sul Blog Aikido Italia Network: https://simonechierchini.com/2020/06/23/kata-il-grande-incompreso/
[2] Minoru Mochizuki sensei e Hiroo Mochizuki sensei
hanno ripetuto più volte questo concetto, l’eredità degli antichi. Per questo
mi desta sempre sconforto e riprovazione quando vedo la gente, tipo tanti
istruttori “moderni e scientifici” di discipline sportive da combattimento – ex
Arti Marziali – e/o anche certi istruttori di Yoseikan Budo, che scoprono ogni
mattina l’acqua calda e la ruota, oppure imboccano percorsi falsi e dannosi, per
la tecnica, lo spirito, e il corpo umano.
[3] Come non vedere precisi riferimenti tra Kata come
il Tai Sabaki e le forme a coppia del Wadō Ryū, tra Happoken e Naianchi –
ovviamente nelle loro versioni originarie ed intatte.
[4] Un esempio di “informazioni” passate agli allievi
diplomati è il testo delle “12 Regole” dell’Ono-ha Ittō Ryū, mentre un testo
riservato è l’ “Ittōsai Sensei Kenpō Sho”, da me trattati nei “Compendi di
Umekiyama”, n.° 2 sub 1-4
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