I CAMMINI SENZA TEMPO DELLA SICILIA

Grandezza di una Terra e di un Mare

 

Uno - Il Re Eterno

 

Questo articolo è il primo di una serie dedicata alla bellissima storia e ai potenti miti della Sicilia, argomenti purtroppo colpevolmente sconosciuti ai più.

Questi sono fatti che dovrebbero essere raccontati e insegnati nelle scuole, scritti nei libri, declamati nei racconti dei “Narratori di Storie” per tutte le piazze e le fiere.

La maggior parte dei Siciliani non conosce cosa è successo nella sua terra, nei tanti millenni da quando uomini hanno iniziato a vivere in Sicilia, tutte le cose che sono state fatte. Non vengono mostrate le grandezze e le bellezze, i meravigliosi miti e i potenti dei che camminarono su queste terre e le protessero.

Il popolo siciliano viene costantemente sminuito confondendolo in una improbabile mescolanza di genti e genti, cercando di convincerlo che non possiede né ethnos, né identità. Si sottolineano le cose a lui più svantaggiose, alterandole con dolo, per nascondere le altre, grandiose e gloriose.

La Sicilia ha fatto storia, nei secoli, ed è stato perno e sorgente di avvenimenti e pensieri.

Adesso subiamo un attacco di disinformazione continua, si creano credenze erronee, si mortifica la maestosità di uomini ed eventi, si esaltano aspetti minori e oscuri. Negli ultimi decenni, in modo criminale, si è creata un’epica fasulla della delinquenza, esaltando la potenza di esseri deprecabili, aiutandoli a continuare a far male.

 

Come già ho fatto per Palermo (e farò), e come intendo fare per l’Italia, tento nel mio piccolo di far rilucere il nostro passato, quell’insieme di cose che forma l’unica e bellissima cultura di un popolo magnifico e di una terra splendida.

 

Questo primo articolo parla di un grande siciliano, un uomo che dovrebbe avere dedicata una statua in ogni centro dell’isola, e una grande via o una bella piazza, oppure un verde e ubertoso giardino. Invece il suo stesso nome è stato sepolto dai secoli, perso nei perduti scritti degli storici e noi lo conosciamo solo per il suo appellativo, che è rimasto nei frammenti sopravvissuti.

Esistono altre storie a lui antecedenti da raccontare, sui popoli nell’isola o che vennero all’isola, sugli antichi dei e gli spiriti della natura, su luoghi e ricordi, e molte altre cose sono accadute dopo, ma LUI rappresenta un esempio magistrale, che unisce molti punti del prima e del dopo.

 

Lui è DUCEZIO!

 

Quante persone lo conoscono, sanno chi è, qui in Sicilia? Quante volte, negli studi scolastici, qualche insegnante ha parlato di lui?

Ripeto, ci dovrebbe essere, in ogni città dell’isola, una strada o piazza principale dedicata a lui, luoghi dove le persone camminano o si radunano, che abbiano così l’impulso di pensare a lui, alla sua opera, e trarne esempio e decisione. Ci dovrebbe essere “Il Giorno di Ducezio” e una grande cerimonia che lo ricordi, e ricordi con lui gli altri che hanno combattuto per l’isola dalle tre punte!

Invece… niente!

Seguite le mie parole, leggetele, approfondite! Iniziate a pensare e nel pensiero guadagnate finalmente la coscienza di popolo, popolo legato alla sua storia e alla sua terra, vogliate essere “voi” e non quello che gli altri vogliono che siate, guadagnate coscienza e fate quel che è giusto per la vostra terra.

Così la sua opera non sarà dispersa e i fatti acquisteranno una nuova luce e una diversa lettura, e noi dignità.

 

Siamo nel V secolo avanti Cristo. È un secolo dove accadranno diversi importanti avvenimenti per la storia di Sicilia.

Un esempio: la splendida vittoria dei greci sui cartaginesi a Himera, nel 480 aC, e la stessa avventura di Ducezio, che non ha niente da invidiare a personaggi storici come Vercingetorige, Romolo e Budicca, o a eroi della letteratura come Conan, Aragorn, Kubla Khan e re Artù.

Qual è la situazione? Numerosi coloni provenienti dalla Grecia hanno costruito città nell’isola e le hanno popolate. I Greci hanno trovato dei popoli già stanziati sul territorio: i Sicani nella metà occidentale, i Siculi in quella orientale. In più, in alcuni posti della Sicilia nord-occidentale c’è un’altra etnia, quella degli Elimi.

Questi popoli, o unico popolo distinto in tre tribù più numerose, aveva già fondato una civiltà con le sue città, monumenti, dei e costumi, la sua arte, industria e commercio.

I fenici, arrivati prima dei greci, avevano stabilito una rete di empori e approdi costieri dove effettuavano il commercio con gli isolani ma, prima dell’arrivo dei greci, non avevano ancora optato di fondare vere e proprie città-colonie. Nel tempo, diventata più potente della madre patria la città africana di Cartagine, ed essendo sorta questa concorrenza coi greci, i nuovi attori punici costruirono alcuni centri e piazzeforti sul lato nord-occidentale o, piuttosto, si appropriarono di alcune cittadine sicane.

Non è storia di poche righe, e torneremo a parlare di questi argomenti in altre puntate. Che il gruppo autoctono fosse un’unica etnia o tre, Sicani, Siculi ed Elimi comunque tutti appartenevano al gruppo indo-europeo e possedevano già una civiltà e uno sviluppo prima dell’arrivo dei primi naviganti. Erano guerrieri conosciuti e potenti, alcuni studiosi ipotizzano che costituissero delle compagnie mercenarie richieste da vari stati del Mediterraneo tra cui gli stessi greci e i fenici. Altri studiosi dicono che i Shekelesh dei Popoli del Mare e i Székelyek rumeni appartenevano allo stesso gruppo etnico dei siculi, scisso in più linee di trasferimento da un’unica località originaria (l’urheimat del siculi/sicani).

 

I Greci erano arrivati nell’VIII secolo aC. Avevano fondato numerose città e, a loro volta, queste avevano fondato città satelliti, combattendosi poi l’un l’altra per la supremazia e gli spazi vitali.

Avevano scacciato i Sicani e i Siculi dalle coste (per dirne una, Thapsos, Siracusa e Agrigento erano già dei centri abitati autoctoni) e questi si erano asserragliati all’interno, costruendo città fortificate o rinforzando quelle già esistenti. In contemporanea vi erano, , tra greci e autoctoni, scambi di merci, di cultura e di colpi di lancia e di spada. Secondo i casi e i luoghi c’era più collaborazione o più scontro.

I calcidiesi avevano fondato Naxos (Nasso), Zancle (Messina), Katane (Catania), Lentinoi (Lentini) e poi Himera, i corinzi Siracusa, i megaresi Megara Hyblea e Selinunte, i rodii Gela e, a loro volta, i gelesi avevano fondato Akragas (Agrigento).

Nei secoli le colonie si erano rinforzate e avevano preso supremazia sulle altre le due città Akragas/Agrigento e Siracusa. Soprattutto quest’ultima era diventata una potenza del Mediterraneo. Sulla terra l’influenza siracusana era soprattutto lungo la costa, dove aveva fondato le subcolonie di Eloro e Kamarina, più le piazzaforti di Akrai (Palazzolo Acreide) e Casmene sugli Iblei, infine aveva posto sotto la sua influenza Gela e Catania.

Akragas aveva un dominio più radicato nell’interno e una maggiore pressione sui siti sicani, controllando più o meno direttamente una fascia trasversale del territorio che andava dalla città fino ai confini di Himera, sul mare Tirreno, su cui poi eserciterà una forma di controllo, così come su Zancle.

I greci nati in Sicilia sono stati chiamati “sicelioti” e costituivano un nuovo gruppo etnico diviso tra nuova patria e made patria, con rapporti di vario tipo con le etnie più antiche, con cui si univano spesso in matrimonio.

 

I Fenici-Cartaginesi, come abbiamo detto, erano arrivati un po’ prima, il centro-base di Mozia pare risalga al XIII secolo aC. Più che città, all’inizio, realizzarono approdi commerciali spesso mobili, che erano fondamentalmente dei punti di appoggio per la navigazione e centri di scambio con le popolazioni autoctone. L’arrivo dei greci probabilmente li prese un po’ in contropiede e solo tempo dopo cominciarono a fondare loro città-piazzaforti, però sempre in siti già abitati dai sicani. Strinsero alleanza con gli Elimo di Segesta, Erice e Entella.

Nell’’VIII secolo “piazzafortarono” Palermo e Selinunte., luoghi posti sulla sponda opposta alle loro basi.

 

Lo scontro tra i due popoli colonizzatori si snodò con vari episodi, con prevalenza ora dell’uno, ora dell’altro, ma tutto poco decisivo.

Nel 480 aC forze congiunte di agrigentini e siracusani, e di altre città greche, rinforzati anche da guerrieri dell’isola, sconfissero pesantemente i cartaginesi a Himera. Fu una sconfitta che pesò sui punici per diverse decine d’anni e, alla fine, portò alla distruzione della stessa Himera.

 

In questo scenario in cui i greci hanno una posizione di vantaggio, appare Ducezio.

(tutta questa è una narrazione molto riassuntata – un invito alla ricerca - aspettate nuovi articoli da parte mia)

 

Devo ancora spendere delle righe di prologo.

Attraverso l’archeologia e lo studio la Sicilia, nella parte non controllata dalle colonie greche e dai cartaginesi, appare e riemerge lentamente agli occhi dei contemporanei. Sono state riscoperte molte antiche città, e si conoscono sempre più cose della cultura dei popoli nostri antenati remoti.

Purtroppo per molti decenni, e ancora oggi, c’è stata (e sopravvive) una visione accademica pan-grecista o pan-fenicia, che ama vedere i popoli autoctoni come meri selvaggi riscattati in tutte le loro attività dalla superiore cultura degli invasori. Sempre l’idea che chi arriva sia meglio di chi c’è già. Per fortuna molti studiosi stanno uscendo da questo tunnel, ma purtroppo in generale perdura, c’è ancora una forte mancanza di informazione (voluta?), si mantiene l’idea che in Sicilia tutto arriva dall’esterno e che gli abitanti dell’isola “non esistano”, siano semplicemente gruppi di questo, gruppi di quelli, arrivati in un “nulla” dove si sono installati…

Invece la Sicilia era una terra popolata da secoli, con forti rapporti interni che si sviluppavano attraverso le vie delle merci e del pellegrinaggio. Vi erano diversi importanti centri sicani e siculi nei monti, molti abitati sorgevano nei primi entroterra, vi erano centri fortificati e centri religiosi.

I centri sulla costa, come Thapsos o Siracusa stessa, furono subito occupati dai coloni che venivano da fuori.

Siculi e Sicani, come molti altri popoli d’Occidente, non avevano una unità interna come coabitatori di un territorio unitario. I vari centri abitati erano indipendenti e possedevano delle aree di influenza e di fonte economica che controllavano, ogni centro aveva un capo che poteva essere definito il re del posto.

Elenchiamo alcuni centri:

Triokala (Caltabellotta), la capitale di re Kokalo, il mito di una prima resistenza vittoriosa;

Ouéssa, città oggi non ancora identificata, potente sui Monti Sicani, centro militare, politico e anche santuario (forse dove ora ci sono le erroneamente definite “grotte arabe” della Gulfa?);

Hybla (Pantalica, Ragusa?), città sacra alla omonima dea, su una propaggine dei monti Iblei;

Enna, altra città sacra alla Dea Madre;

Herbita, potente dominatrice dei Nebrodi occidentali e della loro costa;

Krastos (Castronovo?) altra potente città e centro sacra ad una dea guerriera;

La città vicino all’attuale Adrano, dove era il primo santuario del dio;

E altro, molti altri siti (cito ad esempio: Apollonia, Alesa Arconidea, Engyon, Argezio, Neas, Noai, Menai, Palike, Trinakie - dovete notare che sono, nella maggior parte, i nomi “grecizzati” che hanno riportato gli storici).

Ma ci torneremo ancora, un’altra volta.

I Siculi soprattutto, ma anche i Sicani, erano conosciuti come forti guerrieri e molti venivano impiegati e arruolati nelle milizie siceliote secondo le necessità. Non mancava il “divide et impera” con cui i greci cercavano di mettere l’un contro l’altro i vari potentati originari. Alla fine, non è molto differente da come poi fecero gli spagnoli nel Nuovo Mondo, gli inglesi e gli olandesi in Oriente, gli americani con gli amerindi.

I Siculi possedevano una lingua loro, di ceppo indoeuropeo. Sono state ritrovate alcune scritte, in caratteri greci riadattati con la tipica “α” a freccia, su cui sono in corso studi per la decifrazione.

 

La maggior parte delle notizie su Ducezio ci arrivano da Diodoro Siculo, nativo di un’altra importante città sicula, Agira. È lui che ci narra di un giovane capo, originario di una antica e nobile famiglia sicula (re-sacerdoti, principi di un centro abitato?). Il termine “ducezio” in realtà definisce una carica, non è un nome.

Infatti deriva dal termine siculo di origine indoeuropea “DOUK”, che equivale al latino “dux”, “duce”. Per cui “ducezio” è “colui esercita il comando”. Possiamo considerare la figura di questo antico e illustre siciliano come il capo di guerra e azione eletto, o tale per diritto di sangue, da un concilio di popoli siculi della Sicilia orientale.

Questo mi fa pensare ad una suggestiva ipotesi che esporrò alla fine dei fatti.

Ducezio deve essere nato intorno al 488 aC., si pensa nel centro di Menai, probabilmente corrispondente all’odierna Mineo, città fortificata sicula su un potente roccione.

Diodoro lo definisce come l’ “Egemone” dei siculi, un capo riconosciuto che aveva riunito sotto la sua autorità numerose città-stato. Sempre lo storico siciliano in più passi descrive come Ducezio conoscesse molto bene la cultura greca, da seguirne così numerose usanze e modelli culturali. Ma occorre considerare che ambedue le genti, siculi/sicani e greci, discendevano dalla stessa matrice del ceppo indoeuropeo, e queste usanze erano comuni e questa comunanza si trovava anche ad altre etnie italiche, per esempio, come i latini, gli osci e i sanniti.

La situazione politica della Sicilia orientale (e non solo) era stata completamente trasformata dalla caduta della dinastia tirannica siracusana dei dinomenidi, avvenuta nel 467. Questa dinastia aveva condotto una politica di espansione dei territori siracusani, al contempo aggressiva e repressiva contro i Siculi, contro cui aveva agito attraverso campagne belliche, dove acquisiva altri territori da cui espelleva o riduceva in schiavitù le genti sicule che vi abitavano o che risiedevano nelle città delle colonie greche o che avevano possedimenti in quelle campagne.

Caduto questo regime dei dinomenidi, a Siracusa riacquistarono prestigio e influenza le famiglie aristocratiche, molto presenti ed attive in città e sul territorio, dove avevano instaurato ottimi rapporti con i siculi, sia dal punto di vista economico e commerciale, sia attraverso matrimoni incrociati. La fazione popolare, i “democratici”, al contrario, era fortemente aggressiva verso le genti autoctone, che voleva dominare militarmente e ridurre in schiavitù. È da notare questo atteggiamento peculiare che, nei secoli e nei luoghi si riproduce spesso: i ceti popolari sono spessissimo intolleranti, imperialisti e più tendenti alla violenza e allo sterminio dei presunti avversari (“gli altri”) rispetto le classi acculturate ed elitarie. Pur con la qualifica, autobattezzandosi, di “democratici”.

Tra i fatti d’arme del periodo dei tiranni dinomenidi ci fu, da parte di Ierone di Siracusa, l’occupazione della calcidiese Catania nel 476, ribattezzata dopo il fatto Aetna. Nell’evento i cittadini siculi erano stati espulsi con la forza dalla città e dalle campagne circonvicine, alterando lo status quo che vedeva sicelioti e siculi abitare in accordo il territorio e la città stessa. Questo per favorire diecimila mercenari al soldo del tiranno siracusano.

Era stato un fatto d’arme piuttosto grave per il popolo siculo, che desiderava reagire a questa azione aggressiva. La caduta dei dinomenidi aveva subito causato anche una rivolta dei cittadini aretusei contro queste truppe mercenarie, che i tiranni ora decaduti avevano favorito. Dopo averli espulsi da Siracusa, i siracusani stessi decisero di espellerli da Catania.

Aetna/Catania presentava una struttura forte, diversa da come può apparire oggi. Più piccola e ristretta, aveva il punto di forza nella rocca posta su un collinotto, oggi quasi sparito sotto l’inurbazione massiccia. Questo poggio era la collina di Monte Vergine (49 m s.l.m.), oggi occupata dalla piazza Dante Alighieri e il nucleo dell’abitato doveva corrispondere con l’odierno monastero di San Nicolò l’Arena.

Ad affiancare la truppa siracusana che attacca Catania vi è un nutrito esercito siculo guidato da proprio da Ducezio, la cui figura irrompe nella storia. Siamo nel 461. Sicelioti siracusani e autoctoni siculi riescono ad entrare in Catania, da cui i mercenari scappano per riparare ad Inessa, un altro centro siculo ancora non ben identificato posto, secondo le fonti, tra Paternò e Centuripe sulle rive del Simeto.

L’ingresso di questo personaggio è diretto, senza altre descrizioni. Il comandante siculo appare subito come una figura prominente, quasi un capo designato ed ereditario di un largo concilio della sua gente. L’aiuto che dà in questa impresa su Catania è determinante, non è un fatto militare da poco, e testimonia l‘esistenza di una realtà politica e militare sicula (e sicana) che era contemporanea a quella dei greci. Tra le altre cose questa alleanza gli assicura a Ducezio appoggio e nessun atteggiamento aggressivo da parte del nuovo governo siracusano.

L’azione catapultò in alto il prestigio del giovane capo tra i suoi connazionali e tra i greci.

Purtroppo, Diodoro dà ben poche altre notizie, dice che era nativo della città di Menai (ricordiamo, forse Mineo). Come molte città siciliane antiche, che possono far ascendere la propria origine agli ancestrali autoctoni, Mineo sorge su un pianoro in cima ad una altura,  con i lati scoscesi e naturalmente fortificati.

Di seguito Ducezio alterna azioni politiche e civili a quelle militari. Nel 459 fonda Menaion, nuova città, in pianura. Le ipotesi sono diverse, si pensa che si tratti di una rifondanzione della stessa Menai (Mineo?) in pianura, la fertile piana del fiume Monaci. Gli antichi attribuivano onori “eroici” e divinizzavano i fondatori di nuove città. Ducezio più volte si applicò a questa iniziativa.

Lo stesso anno o subito dopo attacca e conquista la capitale dei Morgeti, Morgantina, vicino Aidone. I Morgeti erano un altro gruppo indoeuropeo sceso in Sicilia pressocché in parallelo con i Siculi, avevano una cultura simile ma se ne distanziavano e avevano creato un’enclave loro di cui Morgantina ne era la capitale. Morgantina controllava un importante snodo viario e l’alta valle del Simeto. Dal punto di vista strategico quella di Ducezio, probabilmente, era una iniziativa sullo scacchiere della Sicilia centro-orientale che va ben letta nel contesto di tutte le sue “mosse”, la sua azione militare e civile. Morgantina era la porta adatta per entrare in contatto con le città-stato sicule di Enna, Agira, Mendolito/Adrano, con le enclave dei Nebrodi e la potente Herbita. Inoltre Morgantina era un importante centro sacro della Dea Madre.

La prima azione a Catania, oltre che dare giustizia ai siculi ingiustamente espulsi, e ottenere ottimi rapporti con Siracusa, aveva in parte disinnescato una città molto potenzialmente ostile verso i siculi.  I mercenari avevano riparato ad Inessa, ma questo sito rimaneva controllato, oltre che dalla liberata Catania, dalle città-stato sicule di Paternò (Hybla Gereatis?) e Centuripe (Kentoripa).

Altre azioni dei siculi-sicani sono registrate in quello stesso periodo, apparentemente non legate a Ducezio. Truppe di alcuni centri sicani del bacino del fiume Himera attaccano, senza molta fortuna, proprio la città di Himera, altri gruppi siculi dei monti Peloritani, quelli che si affacciano sullo Ionio, attaccarono i messani che assediavano Nasso, distruggendoli.

A questa attività segue un periodo di pace – almeno senza episodi memorabili – in cui probabilmente Ducezio svolge una ampia azione politica dove struttura le sue alleanze sicule, rassicura e commercia con i siracusani, si premunisce contro le minacce dei calcidiesi di Lentini, preparando nuove azioni.

Nel 453 Ducezio fonda la città di Palike sulla collina rocciosa che ospita il santuario-grotta degli dèi Palici (importantissimi! Ne parlerò in una prossima occasione), e ristora gli edifici di culto che si trovano davanti al santuario stesso con i due laghetti gemelli sacri. È uno dei luoghi più sacri della Sicilia, che sarà rispettato e onorato sia dai greci che dai romani e poi, ovviamente, boicottato e rovinato dai cristiani e poi ulteriormente insultato dal capitalismo e dall’ignoranza moderna.

I nuovi abitanti di Palike ricevono l’assegnazione di lotti cittadini e di campagna.

Una nuova città sacra murata, che diviene in un qualche modo la capitale di Ducezio.

Qui, nello stesso anno, Ducezio proclama e fonda la “SINTELEIA” Sicula-Sicana. Purtroppo ci rimane solo il nome greco di questa unità federale etnica. La Sinteleia era l’unione militare, politica ed economica della città stato sicule, tribù, famiglie dai Nebrodi agli Iblei, con l’eccezione di Hybla, altra città sacra che rimase neutrale. Si trattava di un progetto pansiculo in cui i siciliani si sarebbero uniti per creare un loro stato, controllare l’espansionismo greco mantenendo dei rapporti commerciali e, in futuro, effettuare la stessa azione contro i cartaginesi.

Da notare che Ducezio non effettua alcuna azione contro i siracusani, in questo scenario, colloca solo delle pedine che possono effettuare un appoggio di controllo della loro zona.

Anzi completa l’azione militare del 461 con la probabile benedizione dei siracusani stessi, attaccando i mercenari ex catanesi rifugiati in Inessa, dove penetra con il suo esercito grazie anche all’azione dei siculi di Inessa stessa, che gli aprono una porta delle mura. Nella battaglia tra mura e vie lo stesso Ducezio abbatte il comandante nemico.

In questo momento la Sinteleia di Ducezio possiede una certa estensione di terra che comprende una vasta parte della attuale provincia di Catania, parte di quelle di Ragusa, Enna, Caltanissetta, con il controllo diretto o federato di diverse piazzaforti.

Però Ducezio deve preoccuparsi di una possibile azione offensiva dell’altra principale città siceliota, Akragas, sempre molto aggressiva verso le etnie siciliane.  Deve procurarsi un “punto forte” che gli possa servire da blocco delle eventuali iniziative agrigentine. Per cui, nel 451, attacca il centro già sicano/siculo di Motyon, controllato dagli agrigentini che l’hanno occupato da tempo.

L’ubicazione precisa di Motyon è ancora incerta. Dati i risultati degli scavi archeologici e i riferimenti documentali, alcuni studiosi propendono su Vassallaggi (nome della contrada dove sono stati effettuati ritrovamenti, località ad est di S. Cataldo), altri su Sabucina (a ovest di Caltanissetta e tra quest’ultima e Pietraperzia). Io propenderei più su quest’ultima, dato che, in caso contrario, sarebbe stato necessario controllare anche Nissa (Caltanissetta) e non emergono dati simili, inoltre Petraperzia probabilmente era una città sicula (Kaulonia) e il sito di Sabucina, troviamo il solito tavolato che si alza con pareti rocciose sulla valle, controlla diversi snodi, tra cui la valle del Salso da Licata (controllata da Agrigento), e la valle del Platani, una delle direttrici dell’espansionismo agrigentino. Sabucina è anche un centro sacro con santuari dedicati ad un dio solare, come l’antica piramide che si trova fuori dall’abitato.

Le truppe di Ducezio si impossessano di Motyon, ma subiscono subito un attacco combinato da parte di un esercito agrigentino e uno siracusano.

Se è comprensibile, anzi matematica, la reazione agrigentina, si pongono diversi interrogativi sulla azione siracusana: Ducezio si era dimostrato amichevole verso Siracusa e il suo territorio politico e la sua Sinteleia costituivano un importante diaframma contro le iniziative aggressive e imperialistiche di Akragas, considerato che questa manteneva una minaccia militare costante su Gela, ora controllata dai siracusani, e sulle città calcidiesi della costa ionica. Al netto della scarsità di fonti storiche, è possibile che sia stata un’azione voluta dai “democratici”, partito aretuseo estremamente razzista verso il popolo siculo autoctono.

Poi un dubbio tattico. Per arrivare a Motyon da Siracusa l’esercito aretuseo doveva attraversare tutta la Sinteleia duceziana con estrema vulnerabilità, potendo subire attacchi dalle numerose piazzaforti sicule che dominavano le valli, coordinate con azioni di guerriglia, compreso il taglio dei rifornimenti. Unica possibilità logistica per i siracusani una risalita della truppa da Gela lungo la valle fluviale del fiume omonimo.

Nella battaglia di Motyon i siculi di Ducezio battono gli opliti sicelioti di tutti e due gli eserciti, mettendoli in rotta.

E con questo fatto d’armi sono già sono diverse le cose che andrebbero ricordate con partecipazione ed orgoglio da parte dei siciliani: il personaggio, le città sacre, la Sinteleia, la vittoria di Motyon.

Purtroppo, nel 450, in un’altra località non ben precisata, forse Monte Navone (tra Piazza Armerina e Barrafranca), forse a Nomai/Neai (Noto Antica) dove le truppe sicule, secondo alcuni autori, svernavano, i siracusani sferravano un attacco in forze e dopo una sanguinosissima battaglia le sconfiggevano. Contemporaneamente gli agrigentini assaltavano in forze Motyon e la riconquistavano.

Anche qui alcune riflessioni: raggiungere Monte Navone da Siracusa non è un semplice itinerario e valgono le considerazioni fatte prima. Invece Noto (antica) è facilmente raggiungibile e si offre ad una azione a tenaglia partendo in due colonne da Akrai (Palazzolo Acreide) e dalla costa.

È pure vero che sarebbe stato logico tenere un forte contingente a Motyon, contro il prevedibile ritorno degli agrigentini. Credo che questo doppio fronte non fosse stato previsto da Ducezio, altrimenti penso che avrebbe agito in un’altra maniera.

Diodoro riporta che, in seguito alla sconfitta, la lega si sciolse e i siculi si ritirarono sulle loro imprendibili fortezze sui monti, raggiungibili solo attraverso sentieri sconosciuti ai sicelioti.

Sorge spontanea la domanda sul “perché” la lega si sfaldasse tutta in una volta alla prima sconfitta. Una risposta potrebbe essere contenuta nelle antiche usanze. Ducezio, di cui ignoriamo vero nome e stirpe, era probabilmente un condottiero designato, profetizzato da segni divini e dagli auguri delle divinità sicule. Come gli antichi re delle epiche doveva essere “senza macchia, né paura”. Accaduto un fatto che ruppe l’alone magico in cui l’eroe agiva, magari la stessa prima sconfitta, di fatto veniva ritirata la protezione divina sull’impresa ed esponeva tutti al fallimento. Tornerò con gli ultimi fatti su questo punto.

A sostegno di questa “rottura” di uno stato di grazia, è quanto avviene dopo. Ducezio avrebbe potuto ritirarsi anche lui in una roccaforte e aspettare nuovi tempi. Invece, probabilmente anche per bloccare rappresaglie sulla sua gente, Ducezio penetra nottetempo a Siragusa e si rifugia come supplice agli altari dell’agorà aretusea.

Il giudizio dell’assemblea cittadina è controverso. Da una parte i popolari democratici che vogliono il supplizio, contravvenendo alle norme del rifugio sacro, dall’altra gli aristocratici che ne richiedono il rispetto, che vogliono riappacificarsi coi siculi e, probabilmente considerano avere in Ducezio vivo un utile elemento per futuri possibili eventi. Dopo un infiammato dibattito, al voto hanno la meglio questi ultimi e Ducezio viene spedito in esilio a Corinto – la città-madre di Siracusa – con una rendita vitalizia pagata da Siracusa stessa.

Corinto si trova ben addentrata nell’omonimo Golfo. Nel periodo dell’esilio Ducezio viene contattato dagli ateniesi, che hanno problemi con le colonie siciliane, e si reca presso l’oracolo di Dodona.

Questo è un punto importante. Sebbene meno conosciuto dell’oracolo di Delfi, Dodona era il più antico sito oracolare dei greci, precedente all’invasione dorica e forse anche agli achei. Rappresenta un “luogo sacro” tra i più ancestrali dell’Europa. Era dedicato ad un dio maschile che poi fu identificato con “Zeus Molossos” e alla sua parte femminile, Diona. Nel luogo esistevano delle querce sacre, un insieme che fa ben pensare all’animismo originario pagano (che ha precisi paralleli con lo “shintō dei campi” giapponese). Erano presenti nel santuario dell’Epiro delle sacerdotesse-colombe proprio come accadeva in diversi santuari siciliani. Uno scenario di comune matrice indoeuropea in cui Ducezio poteva benissimo trovare elementi familiari per interfacciarsi.

La profezia di Dodona prescriveva che Ducezio tornasse in Sicilia e fondasse una nuova città. L’impresa fu appoggiata dalla stessa città di Corinto e alcune fonti dicono che comparteciparono anche gli ateniesi, più alcuni gruppi sicani/siculi che erano già presenti sul posto. La sede della nuova colonia condivisa era un promontorio che ospitava una piccola baia, tra Milazzo e Cefalù, un posto ameno, battezzato Kale Akte, “la bella costa”. È il 448.

La cittadina originaria doveva essere stata fondata su un colle soprastante la costa, più difendibile. Gli studiosi sono indecisi tra il sito di Caronia e quello di Galati Mamertino, con maggiore prepensione per il primo.

L’appoggio autoctono era stato assicurato dalla potente città stato di Erbita (o Herbita), un altro luogo non ancora certamente identificato, si pensa al Monte d’Alburchia ad est di Ganci. Questo centro, sotto il controllo del suo re, Arconide (sempre versione greca del nome), controllava i Nebrodi occidentali e uno snodo di valli interne. La figura di Arconide è interessante, ma ci sono poche fonti. E’ più che probabile che fosse stato in contatto con Ducezio ai tempi della Sinteleia e anche oltre.

Con questa fondazione si realizzavano diversi scopi. Per i siracusani/corinzi:

-      Una base per i siracusani sul Tirreno;

-      Una possibilità di effettuare un controllo sulla rotta Zancle-Himera;

-      Si riallacciavano rapporti con le potenti enclave autoctone dei Nebrodi, al di fuori di tutte le possibilità di occupazione siceliota.

Per Ducezio e i siculi/sicani:

-      La possibilità di ripartire nella sua opera di riscuotere la coscienza degli isolani autoctoni;

-      Realizzare una nuova città/roccaforte, dove radunare i consensi;

-      Allearsi con capi potenti che controllavano luoghi praticamente inattaccabili dai greci.

In quest’opera manca il raccordo coi centri sacri, che nella Sinteleia erano diversi e rappresentati principalmente da Palike, santuario scelto come luogo focale. Però non conosciamo ancora bene l’area nebrodiense e le sue eminenze, sappiamo che c’era il santuario delle Madri a Engyon, probabilmente un altro santuario a Tindari, e la città sacra di Adrano subito a meridione. Poi, appunto, le fonti ancora scarseggiano.

Comunque questa iniziativa non poté svilupparsi nelle speranze dei siculi, perché Ducezio morì nel 450 aC.

Morte naturale, avvelenamento o altro? Non si sa.

Kale Akte si sviluppò in seguito come porto e florido centro commerciale, fino al medioevo, poi decadde.

Dove fu seppellito Ducezio? Sul posto come eroe fondatore o il corpo fu riportato presso le terre natie? (e quali erano?)

Anche qui non sappiamo. La tomba di Ducezio sarebbe un importante punto di venerazione e riferimento per noi siciliani, sarebbe un altro luogo eminente che consolida la saga e dà corpo alla giusta coscienza identitaria e nazionale dei siciliani.

Una coscienza mistificata o macchiata in questo ultimo secolo e anche prima.

Una lezione del sentire l’unità della terra e dei suoi figli, le opere, la civiltà e gli ideali.

I nostri.

Purtroppo, se il sito della tomba era a Caronia, dovete sapere che questo luogo non è stato salvaguardato, colpevolmente. Si costruito e ricostruito sugli antichi posti senza fare alcuna vera ricerca archeologica. Quasi tutti i resti sono stati distrutti o dispersi soprattutto nelle riedificazioni dell’ultimo secolo, a colpi di pala meccanica. Si può sperare che l’eventuale sacrario di Ducezio sia stato posto ai tempi in un luogo più discosto e sia ancora da scoprire, se era là.

Altri due fatti devono essere aggiunti prima di concludere questo resoconto. L’attacco finale dei sicelioti all’opera di Ducezio e alla ethnos dei siculi.

Lo stesso anno della sua morte i siracusani attaccarono Palike e la distrussero. Non toccarono assolutamente il santuario e le sue dipendenze.

Poi attaccarono la misteriosa città di Trinakie, che Diodoro definisce “città sacra” e capitale, cuore spirituale e morale dei popoli autoctoni. Gli abitanti di questo sito costituivano un clan di potenti e invitti guerrieri, che sorvegliavano i luoghi sacri e i loro sacerdoti. Non è detto che fosse in una località montana, però è riportato che aveva possenti mura.

L’attacco fu probabilmente a sorpresa e con mezzi schiaccianti. I guerrieri e tutti gli anziani, secondo Diodoro, perirono nel combattimento vendendo cara la pelle, o si suicidarono. Rimasero pochissimi sopravvissuti, che furono venduti come schiavi.

Alcuni identificano Trinakie con Palike, ma ci sono elementi discordanti. Il nome di questa città “cuore della Sicilia” ricorda quello dato all’isola dai greci: “Thrinakria”. Questo in parte inganna, perché in siciliano antico non esisteva il gruppo TH, né la erre aspirata. La forma e l’identificazione dell’isola col simbolo della testa di medusa a tre gambe è una antropizzazione dell’antichissimo simbolo indoeuropeo (e non solo) del triscele/triskelion, comune a tutti popoli di questa etnia. I greci adattarono probabilmente una loro parola di simile significato al termine locale, operando in seguito una sostituzione culturale.

Perché questa distruzione alla morte dell’antico avversario e alleato? È possibile che “ducezio” fosse un titolo assegnato da sacerdoti particolari ad un altrettanto particolare esponente delle tribù sicule e che poi questi agisse come polo unificante negli aspetti religiosi, militari e civili. Morto il “ducezio” che li aveva combattuto, i siracusani agirono con violenza per evitare che ne fosse nominato un altro, magari il figlio di Arconide d’Herbita, che poteva radunare un forte esercito dei siculi dei Nebrodi e contare su una logistica estremamente favorevole, al contrario del predecessore, stretto tra Siracusa, Lentini, Gela ed Agrigento.

Trovare il sito della “perduta” Trinakie è un altro di quei compiti che un popolo in sé sano si porrebbe come principale. Alcuni ipotizzano fosse la città che precedeva l’attuale Adrano, di cui esistono sporadici scavi nella adiacente contrada di Mendolito, altri pensano che si trovasse sul roccione dove ora c’è Randazzo.

Ma rimangono invece delle memorie nell’area tra Erei ed Iblei, nei luoghi vicino a Piazza, una leggenda locale della città di Trinakie che, assediata dalla preponderante forza nemica, combattendo valorosamente e in procinto di cadere, magicamente si sottrasse trasferendosi in un’altra dimensione, sfuggendo alla canea nemica. Si tramanda che, secondo l’incantesimo, tornerà un giorno a guidare la riscossa dei siciliani contro i loro nemici.

Un messaggio di grandezza e di speranza.

Vi invito a riflettere, studiare, e discutere.

 

PS.: mi dispiace che un bug del blog mi impedisca di unire immagini allo scritto. Più avanti farò una edizione .pdf di diversi scritti riuniti, corredandoli con copiose figure.

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