Palermo e Non Palermo - Memorie e Riflessioni
Elementi di storia di un
insediamento
Mi capita spesso di
leggere scritti di autentica approssimazione e falsità storica su Palermo. Si, un
enorme numero di approssimazioni oltre al consueto e in parte atavico, in parte
contemporaneo, vizio di sottostimarsi e piangersi addosso.
La città Palermo è una
città magnifica, sia per la sua storia, sia per il suo impianto urbano
(storico), sia per i suoi monumenti. Per quanto saccheggiata da uomini da poco,
continua ad avere una bellezza assoluta e ancora più bellezza potrebbe essere
facilmente aggiunta con una nuova e più accurata gestione delle sue risorse
naturali e artistiche.
Qua spendo alcune righe
per combattere queste disinformazioni autolesionistiche. I vari punti saranno
approfonditi in seguito.
Andiamo indietro nei
millenni, agli antichissimi tempi dei primi uomini che abitarono la Conca
D’Oro, e quel particolare sito che era quella stretta penisola, tra due corsi
d’acqua, che finiva a dominare una profonda insenatura, un vero “porto sicuro
naturale”.
Sappiamo che, dai tempi
più antichi (parliamo del Paleolitico), i monti della Conca erano abitati da
gruppi di uomini che praticavano caccia, pesca e raccolta. Questi primi
aborigeni vissero e si moltiplicarono, stabilendo una cultura dispersa nel territorio,
ma viva e feconda. La valle offriva molta cacciagione e sorgenti.
Poi i nostri antichi
scesero dai ripari dei monti, e costruirono i primi villaggi, iniziò
l’agricoltura e l’allevamento. C’erano piccoli agglomerati un po’ dovunque
nella piana, li possiamo collocare dove poi sono rimasti i vari, piccoli nuclei
abitati che ancora esistono, spesso ingoiati dallo sviluppo sregolato della
città. Sappiamo di resti di abitati eneolitici a Sferracavallo e Tommaso
Natale, Mondello alla curva piazza davanti l’hotel La Torre, lungo il piè delle
montagne, all’Uditore, a Piazza Leoni, a Baida, a Malaspina. E, ovviamente, al
“luogo che sarà Palermo”.
Nell’età del Bronzo si
sviluppò perfino una ceramica particolare, la “ceramica della Moarda”, che
veniva esportata sulle già fiorenti rotte commerciali.
Parliamo
del “luogo che sarà Palermo”.
Una
penisola con rive alte su due fiumi, e a picco sulla baia, chiusa nella parte
dove in promontorio di allarga nella piana da una collinetta trasversale. Su
questo poggio probabilmente sorse un villaggio fortificato, dove i suoi
abitanti potevano godere dell’acqua, della caccia e della pesca, nonché dei
frutti della terra che trovavano in quell’ampio lembo di terra naturalmente
difesa, dove anche gli armenti erano più al sicuro. I Sicani antichi avevano una
città, lì, e c’erano più fonti e posti sacri già riconosciuti, dove ora c’è la
cattedrale, nel piano di Sant’Onofrio, ai Quattro Canti, nel poggio oltre il
fiumattolo orientale, dove ora c’è casa professa. E altri.
Il
“luogo che sarà Palermo” era già una città santa, luogo della Dea delle Acque e
della “vergine che si rinnova con le stagioni”, che poi sarà Astarte, Minerva,
Oliva, Rosalia. Come le altre città-tempio di Erice, Marsala, Cefalù, Ganci,
Adrano uno e due, Enna, Palici.
Quando
vennero i Fenici, Palermo già esisteva, città sicana e santa, già posto di
commercio. I Fenici, come spesso fecero in altri posti, sfruttarono un
potenziale già esistente. Ma benché tra Mozia e Solunto, Palermo era già un
qualcosa a sé, la potenza era inscritta.
Palermo,
allora, aveva un altro nome, che poi divenne il nome segreto. Se il nome
segreto di Roma rimane una conoscenza per pochi iniziati e forse è proprio
perso (se mai cose simili si possono mai perdere) insieme ai “Pignora Imperii”,
il nome del “luogo che sarà Palermo” si è nascosto abilmente dietro il suo
appellativo, e probabilmente è celato nel favoloso sepolcro della Dea, tra
meandri e aggrottati pieni d’acqua dell’antica città, ora nascosti sotto gli
edifici nella storica.
Per
cui Palermo era prima dei fenici, e, pur appartenendo alla sua aera
d’influenza, non fu proprio una “città fenicia”. Divenuta una piazzaforte utile
durante la Prima Guerra Punica, fu conquistata dai romani senza troppe
difficoltà e da loro, di lì in poi, mantenuta in possesso nonostante tentativi,
anche imponenti, da parte dei cartaginesi, per recuperarla.
La
città-Palermo era una città sicana, in cui si aggiunse, come poi accadde e
riaccadde, dei gruppi di gente di altre etnie giunte lì per motivi di politica
ed economia. Queste genti erano spesso di passaggio, e comunque una minoranza
rispetto la popolazione di base.
Sarà
così anche con i romani, e, a parte gli italici che nei tempi si trasferirono e
prosperarono nella città, la stessa cresceva per inurbazioni di gente dalla
regione o da altre città della stessa.
Questo
rimase un dato costante, finché non successe l’altro fatto molto mistificato:
l’invasione islamica.
Nel
frattempo, né i vandali, né i bizantini avevano portato modifiche alla popolazione
che si era formata. Più che altro i monaci e religiosi di provenienza greca
avevano portato dei contenuti culturali dei riti greci. Più, ovviamente, la
versione bizantina della cultura romana.
Non
entro in questo scritto sui dettagli della occupazione araba. Voglio solo
evidenziarne dei punti e sfatare diversi miti.
Come
l’occupazione della penisola spagnola, quella della Sicilia fu una guerra di
conquista, con grossi eserciti musulmani che si scontrarono contro una forte e
prolungata resistenza degli isolani. Ci vollero 138 anni di duri combattimenti,
e assedi, spesso conclusi con stragi e saccheggi. E ancora Catania e territori
limitrofi rimasero in mani bizantine.
Durante
l’occupazione vi furono numerose ribellioni, sanguinose e soffocate nel sangue.
Nonostante le spinte perché i siciliani si convertissero, solo una piccola
parte passò all’islam, nonostante i vantaggi che avrebbero ricevuto diventando
musulmani e le umiliazioni a cui venivano sottoposti in quanto cristiani. I
coloni africani venuti in Sicilia rimanevano per lo più all’interno delle loro
comunità etniche, sia nelle città che nelle campagne. Nelle città in quartieri
etnici come la Kalsa a Palermo, nelle campagne con casali e piccoli abitati, dove
sfruttavano il lavoro di dissodamento e coltivazione già avviato da secoli da
romani e bizantini. Anche il famoso “giardino all’araba” e varie coltivazioni,
tra cui gli agrumi, erano già presenti in Sicilia da secoli prima dell’arrivo
degli arabi.
I
Normanni arrivarono nel 1061 e in trent’anni liberarono tutta l’isola. Questo
nonostante fossero un piccolo gruppo armato, si parla di trecento cavalieri e
che, per parecchi anni non poterono fare che rapide campagne durante la bella
stagione, per poi ritirarsi durante l’inverno. I Siciliani aprivano letteralmente
le porte delle loro città e paesi ai Normanni, che non conoscevano e che
avevano fama di essere duri guerrieri, partecipando poi con entusiasmo alla
soppressione dei loro concittadini islamici. Furono i Normanni a non infierire
troppo per mantenere la struttura amministrativa, che comunque presero sotto
rigido controllo. Molti islamici rientrarono in Africa, come d’altronde il lor
stesso corano e la sharia comandano, altri si isolarono nei loro borghi o in
quartieri degli abitati.
Checché
ne pensino i molti che ritengono “bello” questo periodo per l’isola, non ci fu
una gran commistione trai siciliani e l’invasore. Caduto il governo islamico, i
musulmani si chiusero per di più nella loro presunta superiorità, isolandosi e
meditando vendette.
In
Sicilia vi erano diversi gruppi, a parte quello etnico degli africani, erano
perlopiù gruppi culturali, che stavano appunto in quartieri e zone specifiche,
senza mescolarsi più di tanto con gli altri. E, in quegli stessi quartieri e
zone, una alta percentuale era formata non da gente che non era, nei suoi
antenati, originaria dell’isola, bensì siciliani che si erano agglomerati
culturalmente e solo in parte col sangue, con loro.
Perché
questo è un altro punto importante. Chi venne da fuori mantenne una coesione di
gruppo e le famiglie si legavano per matrimonio in genere tra loro. Poi, ogni
tanto si univano ai locali, e così era una goccia che si versava di tanto in
tanto in un barile.
Fondamentalmente
il siciliano è un siciliano, erede degli aborigeni a cui si è aggiunto nei
secoli un po’ di sangue greco, un po’ fenicio, e poi ancora minori quantitativi
di bizantini, arabi, normanni e così via. Molto spesso, per snobismo, la gente
si attacca alle percentuali di minoranza delle sue origini, e non bada al
quelle maggioritarie. È il contrario, invece.
Noi
abbiamo anche una percentuale di geni Neanderthal. È ovvio che hanno una certa
importanza, ma quanti si definirebbero “neanderthaliani”? Non è molto diverso
per le altre percentuali minoritarie. Giusto tenerne conto, sbagliato pensare
che siano un’eredità dominante. La “TERRA”, il paese dei padri- e delle madri,
ci definisce con la sua cultura e il suo spirito eterno. Materializzati negli dèi
ancestrali e dagli spiriti degli antenati.
Per
tornare agli “arabi in Sicilia”, nonostante la cosiddetta “società aperta” dei
Normanni si misero presto in urto e in contrasto con loro, tali da far
scoppiare contrasti già all’epoca dei Guglielmi. Il periodo di incertezza che
seguì creò alti e bassi, fino all’aperta ribellione sotto Federico II che, come
di giusto, smantellò i loro covi e li trasferì tutti a Lucera. Che l’operazione
fosse ben capita dai musulmani pacifici che ne furono coinvolti – sta nel fatto
che i facinorosi combatterono fino all’estinzione - i pacifici ebbero un posto
tranquillo di cui furono grati tanto da essere una milizia fedele di Federico e
dei suoi eredi fino alla fine.
Palermo
ha dovuto subire gli islamici, ma da essi non ebbe grandi benefici e, appena poté,
se ne liberò con solerzia.
È un
uomo stupido, e in malafede, chi sostiene il diverso, oggi, e lo propaganda con
arrogante zelo.
Per quanto
riguarda il nostro essere “normanni”, “spagnoli” o altro, ne parlerò un’altra
volta.
Spero
presto di iniziare anche un’altra serie sulla storia e la gloria della Sicilia
e del suo popolo, compreso il mito e la leggenda. Quello che dovrebbero
insegnare nelle scuole e invece colpevolmente tacciono.
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