Mondō: colloquio tra maestro ed allievi (3)

“Mondō” (問答 – letteralmente “domanda e soluzione”) è un termine buddhista che definisce una conversazione “domanda-risposta” tra maestro ed allievo. Ci può essere un argomento proposto o far riferimento a lezioni passate, o no. La domanda può essere “guidata” dal maestro o no. Il fatto che l’allievo ponga una domanda è segno di una conquista che lo stesso ha fatto sull’argomento. La domanda può avere una risposta verbale o di diverso tipo.

 

ARMI NELLE ARTI MARZIALI:

CONSAPEVOLEZZA, RISPETTO, RESPONSABILITÀ

 

Ci sono delle cose, idee, comportamenti, usi, che ad ognuno sembrano naturali ed evidenti, tanto che ci viene difficile concepire come un’altra persona possa pensare e agire in modo diverso. Molto dipende dalla educazione ricevuta e dalle esperienze già vissute. Alcune cose cambiano con i tempi. Ma chi ci troviamo davanti spesso possiede schemi assai diversi dai nostri.

Nelle Arti Marziali, sia in quelle tradizionali antiche (Koryū) che in quelle moderne (Gendai Budō) la pratica comprende l’uso di armi, in modo quasi esclusivo in alcune, mediato con la pratica a mani nude in altre.

È necessario che l’istruttore sia particolarmente attento nell’istruzione, nel generale e nel particolare.

 

La mia formazione

Appartengo ad una famiglia con tradizioni militari e con una lunga tradizione nella caccia. Quest’ultima attività poi abbandonata per il suo non-senso nel mondo contemporaneo. Fatto sta che sin da piccolissimo mi sono ritrovato a contatto con le armi da fuoco, anzi, con la “consapevolezza delle armi da fuoco”. Attento e avido lettore da quando ho imparato a leggere, sdegnando le fiabe (poi recuperate in seguito) mi sono gettato presto su Salgari, Dumas, Verne e sul fumetto d’avventura. Dove ho acquisito il fascino dell’arma bianca (e anche delle spingarde…). Fascino che era qualcosa d’innato in me, anch’esso.

Pur continuando ad avere un rapporto con l’arma da fuoco, compreso poi il servizio militare, mi sono addentrato piano piano nel mondo dell’arma bianca, e dell’arma-corpo, dove ho raggiunto una conoscenza, ovviamente mai bastevole, ma comunque tale da poter comprendere.

 

L’Arte Marziale

Ho sempre considerato l’Arte Marziale come un ambiente, un argomento, un modo d’essere preciso. Non diverso dalla vita normale, ma piuttosto un modo “qualificante” della stessa, che ti fa comprendere come esista una coscienza, un sistema di rendersi conto di cose, fatti e persone che è ben diverso da quello degli altri, che vivono “facendosi accadere addosso” le cose.

In tutta la mia educazione, quella ricevuta e quella auto acquisita, uno dei punti fondamentali è sempre stata la “consapevolezza”, che non è assolutamente una cosa facile, e un altro il “rispetto”.

Non ho potuto fare a meno di osservare come, nel passare del tempo, la pratica marziale si sia “sformata”, e alcune contaminazioni giunte dall’idea sportiva e da quella del gioco abbiano passato di molto i legittimi confini in cui dovevano rimanere. Le armi non sono più viste come oggetti che “posseggono” in sé un innato indice di pericolo, né si percepiscono gli altri poteri di cui ti investono, piuttosto sono diventate degli “oggetti di divertimento” non dissimili da palle da calcio, pallacanestro o simili, così diventano solo delle “diverse forme di gioco” e svagheggio.

Di conseguenza anche la pratica e in particolare il Randori, ora rappresentano, agli occhi e nelle confuse idee dei praticanti non più disciplinati, non molto oltre un tipo muscolare di acchiapparello, oppure una rappresentazione al vivo del giochino della playstation o, peggio ancora, un sistema adatto ad esprimere una supremazia appagante all’ego.

Diversa è la giusta considerazione in cui devono essere considerate le Arti Marziali. Per me, essermi accostato alle Arti Marziali tradizionali, diversi anni fa e ben prima del diffondersi dei videogiochi, prima delle intossicazioni da video di questo o di quello, mi ha consentito di diventare ben conscio delle deformazioni poi avvenute. Da quel punto ho preso l’iniziativa di contrastare la decadenza e mi muovo per ricostruire il giusto ambiente e stato d’animo nelle “Discipline del Combattimento”, per me e per i miei allievi.

Perché l’Arte Marziale è combattimento, e ogni sua espressione è combattimento, e chi la pratica un guerriero, “colui” che cerca l’equilibrio tra le “Forze” che sono “una e due e quattro e otto e…”

 

Armi e Tiro

Per una serie di fatti, quest’anno mi sono ravvicinato alle armi da fuoco e sto riprendendo anche questo cammino che per vari motivi si era interrotto molti anni fa. Come vecchi amici che si rincontrano sulla strada, così si vanno riallacciando vecchie idee e comportamenti, osservando nuove possibilità e altro ancora.

Ancora, questo fatto mi ha riportato davanti agli occhi tutti gli insegnamenti di mio padre e degli altri miei anziani, con la loro saggezza e responsabilità.

“Consapevolezza” è la Parola.

 

In Generale

Quando pratichiamo un’Arte Marziale è estremamente importante essere ben consci di quello che facciamo. Va assolutamente evitato il comportamento tipico di accostarsi alla pratica come gioco, oppure intenderla come un sistema di ginnastica più movimentata, o un attrezzo utile a effettuare una supremazia fisica sugli altri.

Può essere che, agli inizi, ci sia questo modo ignorante di accostarsi, ma va subito corretto e sradicato da parte dell’istruttore. Egualmente pernicioso è un atteggiamento “New Age” che vede nell’Arte Marziale solo una pratica eubiotica o un atteggiamento pseudo-pacifista del tipo “io non attacco mai”, “solo difesa” o “armonia universale con unicorni rosa e ci vogliamo tanto bene”.

Occorre rendersi conto, in modo preciso e consapevole, come ogni gesto, ogni azione sia profondamente destinata ad avere un effetto dirompente, per forza o precisione, agendo o reagendo, tagliando o girando, sull’avversario e, espandendosi, sul contesto che ci circonda. E su noi stessi.

Consapevolezza degli effetti, estrema chiarezza, capacità nuda e affilata di “fare” alla massima efficacia.

Senza questa consapevolezza non c’è Arte Marziale, non c’è Bujutsu, non c’è alcun Budō. Quanto facciamo in modo ebete e ludico non si distacca dal movimento meccanico di una coreografia di aerobica o dall’abbandono di un gioco. Coreografia o gioco hanno i loro perché, ma non sono assolutamente quelli che vogliamo praticando una “Disciplina del Combattimento”. Non c’è nessun senso nel fare una cosa snaturandola.

Solo penetrando in una cosa, senza romperla, senza dividerla, ma semplicemente accettandola, possiamo arrivare ad un controllo e, di conseguenza, nel nostro caso, spegnere un conflitto, anche prima che si manifesti.

Le Armi magnificano le consapevolezze e ci aiutano a percorrere con una maggiore precisione la Via del Combattimento. Aiutano la pratica a mani nude, la magnificano, la raffinano.

Ma perché accada occorre questa “consapevolezza”.

“Consapevolezza” include la comprensione della potenzialità di quello che facciamo, il come/dove/quando/perché, le cause e gli effetti, compresa la precisa visione di ciò che accadrebbe nella realtà secondo le nostre e le altrui azioni, lo scenario reale, comprese le “ferite” all’avversario.

 

Praticare con l’arma

Prendiamo ancora la Spada come esempio. La Katana va vista come un grande bisturi, non come una mazza o un nodoso bastone, come fanno i più. Deve dare un’educazione differente, deve essere chiaro perché e come è più letale di questo o di quello.

Cosa fa.

Cosa fa realmente, la carne e il sangue.

Qual è il miglior modo di usarla, che corrisponde a un complesso assai preciso di principi, comportamenti, azioni e modi di usare il corpo che possono essere riassunti sotto il nome “scherma”. E questa è una conoscenza globale che comporta molte cose, tra cui la conoscenza del modo di pensare, reagire di un essere umano, compresi sentimenti e caratteristiche organiche.

Questo avviene anche attraverso la “comprensione”, o Consapevolezza, dell’impiego migliore dell’arma stessa, e si deve notare e ripetere con insistenza, come sia le scuole antiche che quelle moderne coerenti e corrette, insistano sia sulla sublimazione dell’arma stessa e del suo impiego, sia sull’abilità di uso di altre armi – compreso il corpo umano o oggetti casuali – grazie al sistema integrato di logiche, meccaniche, idee e stati mentali insegnati dalla scuola stessa.

Questa consapevolezza comporta atteggiamenti ben definiti ed importantissimi:

-      Rispetto per l’arma e precauzione nel suo uso, che si manifesta anche nella fase in cui la stessa arma è inattiva, vale a dire cura nel portarla addosso nelle fasi intermedie della pratica, cura nel tenerla momentaneamente di lato in attesa di riusarla o riporla, cura nel conservarla e nella manutenzione, tutto fatto nella massima attenzione e sincerità.

-      Il punto precedente richiede l’uso di forme di comportamento chiamate “etichetta”, regole che disciplinano e consentono di inquadrare la pratica nella coscienza di controllo e sviluppo.

-      Nella fase di arma attiva si opera tenendo ben presenti tutti i principi tecnici, meccanici e mentali che sono stati insegnati, si deve cercare di praticare con la massima precisione possibile, anche a costo di essere poco spontanei nei primi tempi, in generale, o quando si scala un nuovo livello di apprendimento. La spontaneità verrà col tempo e giusto esercizio. L’importante è realizzare l’istruzione, non effettuare una presunta supremazia. Secondo i compiti e le modalità d’esercizio la tecnica va ripetuta con la massima sincerità possibile e tenendo presente lo status di pratica di chi ci sta davanti. Sincerità che deve arrivare al 100% in determinati esercizi, senza remore.

 

Cosa si fa spesso ora, che va evitato

Lo scenario odierno delle discipline marziali si trova inserito in un contesto a-culturale imperante, dove approssimazione, materialismo e desacralizzazione riducono tutto a gioco, nella accezione più deteriore del termine. L’interpretazione del combattimento è abbassata ad evento quantitativo dove la regolamentazione aiuta a far prevalere l’aspetto di preponderanza delle doti fisiche – che vengono coltivate con sistemi che spesso causano danni gravi al fisico del praticante – e l’aspetto di approccio strategico-tattico, viene ridotto al sistema più adatto per ottenere comunque la vittoria, falsando così non solo la disciplina, ma anche lo stesso regolamento.

È un impoverimento totale delle Arti Marziali, impoverimento che va assolutamente evitato. Le discipline perdono le loro caratteristiche, che sono ben di maggior livello rispetto lo sport agonistico e lo stesso sport anche se quest’ultimo viene visto nel più puro e originario accento decoubertiniano, ormai perso.

È per questo motivo che va praticata e incoraggiata la forma tradizionale di insegnamento e pratica delle Arti Marziali combattendo il più possibile la deriva agonistica e ricreativa, attraverso non solo i corsi degli insegnanti degni di questo nome, ma anche attraverso la divulgazione culturale, da effettuarsi attraversi i mezzi mediali contemporanei.

E nella pratica tradizionale l’aspetto “consapevolezza” va insegnato e fatto praticare con precisione e insistenza, così l’allievo avrà una vera coscienza e non un saltellante svagheggio senza senso.

La pratica delle Arti Marziali era ed è una attività possibile per tutti, ma a cui solo una parte di chi si avvicina all’inizio riuscirà poi a giungere. E costituirà la “casta” come è sempre stato e sempre sarà.

 

 

 

 

 

Commenti

  1. Sì, grazie Adriano per far trasparire nei tuoi scritti la tua personale integrità marziale che ti ha sempre contraddistinto come insegnante. Marco.

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