KENKYUKAI: LA RICERCA (1)

L’Equazione di Kanō e le Arti Marziali

di Adriano Amari

 

L’opera Jigorō Kanō shihan si compone di due parti, quella “fisica” che è la disciplina Jūdō Kōdōkan, quella teorica costituita da libri, articoli e saggi. Si tratta di “Due Che sono Uno che è Due”. In questa sua opera Kanō sensei traccia alcune “Triadi”, ovvero dei principi interdipendenti e dinamici, che formano un sistema creativo a sua volta autosufficiente e collegato ad altre triadi. La triade che qui presentiamo, ideale e reale, è sotto forma di un’equazione di grande importanza:

 

BUDŌ = KIHON + KATA + RANDORI

 

Cosa significa?

“Il Budō” definisce e comprende, in generale, ogni Arte Marziale giapponese di qualsiasi origine o tempo storico. Allo stesso tempo possiamo intendere “OGNI Budō” - vale a dire ogni Arte Marziale in particolare (Jūdō, Aikidō, Kendō, Kyudō, Shorinji Kenpō, Yōseikan Budō, Iaidō, e anche Jū Jutsu, Kenjutsu e tutto il Bujutsu). Bene, generale e particolare, sono tutti ed ognuno composti da tre parti, ognuna delle quali è indispensabile per il completo apprendimento della disciplina. Questa completezza di pratica fa sì che l’individuo cresca migliorando sé stesso.

Esaminiamo i singoli componenti della triade.

 

KIHON (基本)

I due ideogrammi significano “Base, fondamento, principio”.

“Kihon” sono tutti i movimenti, elementari e complessi, che poi assemblati costruiscono i Kata, dove vengono interpretati e dove ne viene descritta e codificata l’applicazione efficace. Sono come le lettere dell’alfabeto o le parole singole o le corte frasi esemplificative. In seguito, nel Randori (combattimento), questi movimenti base verranno eseguiti senza soluzione di continuità in forma semilibera o libera, contro un compagno/avversario semi collaborativo o non collaborativo. I Kihon si dividono in più categorie:

-      la prima è quella dei “movimenti” elementari: Tai Sabaki (spostamenti), Posizioni (Dachi), tecniche di addestramento (kamae, tanren e suburi);

-      la seconda è quella degli Ukemi (cadute) e dei movimenti- matrice [per esempio, nello Yōseikan: Hojo-Undō (educativi), addestramento all’onda shock, studio dell’equilibrio, Te Hodoki (liberazione da prese), Te no Michibiki (uso della presa)];

-      la terza è quella delle tecniche (Waza): Atemi, Nage, Kansetsu, Katame, Jime, Emono, dalle più semplici, vale a dire i singoli colpi a mani nude o con armi, alle più complesse come le proiezioni o leve, nonché le combinazioni primarie.

Il Kihon costituisce la base da cui poi si sviluppa tutta le disciplina e la tecnica si raffina attraverso l’incessante e ripetuta esecuzione di questi “movimenti semplici”, siano elementari o no. La “base” è un oggetto che va ripulito senza soste, pena lo scadere della pratica e l’arrestarsi dello sviluppo di crescita.

Il Kihon “costruisce il Corpo” (Ittai Furi) vale a dire quella struttura ordinata e specifica della disciplina che consente la corretta ed efficace esecuzione di tutto il materiale tecnico.

Si dice che: "Nulla è più avanzato rispetto le nozioni di base".

 

KATA ()

“Forma” o “Modello”.

Si tratta di combinazioni di elementi delle “Basi” – Kihon – in genere eseguite da due persone, organizzati in modo di formulare attacchi a cui ne vengono date le risposte, utilizzando altri elementi di base. Rispetto al Kihon semplice ogni scuola aggiunge dei criteri di strategia e tattica per indicare perché e come queste combinazioni devono essere eseguite. Il Kata, inoltre, introduce delle interpretazioni dello spazio e del tempo per indicare il “quando” – “Ma” e “Hyōshi” – più la nozione di “Sen”, che è l’iniziativa.

Le singole sequenze dei Kata sono qualcosa di più di quello che sembrano rappresentare agli occhi dell’osservatore. Il “lui fa questo, tu fai questo” è solo una apparenza su cui cadono tutti. La “lettura” di un Kata è una cosa che può essere fatta solo dopo una iniziazione condotta da un maestro di alto livello della scuola a cui quel Kata appartiene. Nel mio caso il Maestro Hiroo Mochizuki mi ha fornito di molti elementi per poter effettuare questa “lettura”. Altri elementi importanti mi sono stati dati dai miei maestri di Kenjutsu, Iaido, Koryū Ju Jutsu, Kali e Pencak Silat. Questa capacità di “leggere” va espansa sempre più attraverso studi di altri “codici” – leggi altre discipline – in modo di poter avere una conoscenza sempre più approfondita dei significati profondi della “forma-modello”.

Ricordo che i Kata tradizionali giapponesi sono a coppie. Il Kata a singolo è un’eccezione di discipline tipo il Karate, qui “chi non c’è” deve essere poi aggiunto nello studio di profondità delle tecniche. Nel Kata a coppie c’è un adepto della stessa Arte Marziale, in genere più anziano nella pratica e maggiore di grado, che si incarica di sferrare un sincero e corretto attacco secondo la situazione che il Kata propone. Questo attacco è LA domanda e al più giovane compagno tocca fornire la risposta secondo le indicazioni.

 

RANDORI (乱取)

Tori () “colui che esegue” contrasta attacchi in forma Ran ( - libero ? -, agitazione, fermento).

Il Randori è l’applicazione, libera o semilibera, delle tecniche di una scuola secondo i dettami dei Kata contro uno o più avversari parzialmente o totalmente non collaboranti. Viene spesso confuso con lo “Shiai” (試合 = “provare in armonia/unione” – il secondo ideogramma è lo stesso di “AIkido”) che invece esprime l’idea di gara, con la volontà di vittoria di uno sull’altro, ed è limitato dalle regole. Lo Shiai è una parte del Randori, da applicare di tanto in tanto, si potrebbe quantificare con il 15/20% di tutta la pratica al Randori.

Nelle sue varie forme il Randori fornisce uno studio collaborato e progressivo delle tecniche collocate nel loro ambito strategico e tattico ed applicate seguendo i principi di Ma (misura), Sen iniziativa), Hyōshi (ritmo).

Si dice che il Randori moderno sia stato inventato da Kanō sensei. Ma di fatto esisteva già da tempo sia nel Kenjutsu/Kendō che in varie scuole di Jū Jutsu. Kanō sensei lo strutturò per far sì che potesse diventare una pratica di massa, selezionando ciò che poteva essere fatto e cosa no, allo scopo di limitare gli infortuni.

 

L’equilibrio tra queste tre componenti è fondamentale, trascurarne una significa portare degli sbilanciamenti alla pratica che avranno conseguenze.

Anche le tecniche più elementari dei Kihon hanno la necessità di essere ripulite e perfezionate di continuo, portando un forte miglioramento per tutta la pratica.

La pratica del Kata dice come attuare le tecniche del Kihon, il Randori ci dimostra il nostro grado di comprensione delle tecniche e ci sprona a correggere e migliorare cosa “non funziona”. Ci dimostra se siamo in grado di eseguire le tecniche in contesti non prestabiliti. Se “non funzionano” vuol dire che il nostro studio ancora non è sufficiente.

La seduta di allenamento tipo dovrebbe contenere per il 30/40% Kihon, che vengono poi interpretati attraverso il Kata. Il Kata non è da ripetere integralmente ogni volta, si seleziona un’area di studio, secondo il metodo dell’istruttore per definire le sequenze da studiare, rifinire e applicare poi nel Randori. Dunque possiamo dire un altro 40% di studio Kata e poi il rimanente 20% di studio applicativo in Randori. Oppure dedicare il resto della lezione al Kata per più sedute e, completato un livello di studio, applicare nel Randori per alcuni turni a lui dedicati.

Una pratica sbilanciata porta, prima o poi, alla stagnazione e regresso. Tutte e tre le fasi sono indispensabili per raggiungere la padronanza dell’ “Attacco-Difesa”.

 


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